Il racconto del viaggio a Wajir sulle orme di Annalena Tonelli 2019

14/11/2019

Il racconto del viaggio a Wajir sulle orme di Annalena Tonelli (5-14 novembre 2019)


Mons. Livio Corazza, vescovo di Forlì-Bertinoro dal 5 al 14 novembre è andato in Kenia. Meta Wajir, nei luoghi della prima missione di Annalena Tonelli dove, assieme ai rappresentanti dell’associazione Paolo Babini, della cooperativa omonima, del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo e dell’associazione VolontariA il Vescovo ha partecipato alla intitolazione del nuovo edificio di una scuola intitolato a don Mino Flamigni. Mons. Corazza ci racconta del viaggio in questa intervista.

 

È appena ritornato da Wajir, come è andata?

Si, sono stato a Wajir, terra di Somali in territorio keniota; già questo ci fa capire che è una terra piena di contraddizioni, fatte di miseria e di tante speranze. È la terra dove Annalena è vissuta per tanti anni, almeno dal 1970 al 1985. Sono stato a Wajir proprio sulle orme di Annalena, con l’intento di cercare lì dove è vissuta ispirazioni e orientamenti per noi, oggi. Perché Annalena è ancora ben viva con la sua vita e la sua testimonianza.

Voglio ringraziare i miei compagni di strada, con i quali ho vissuto benissimo, condividendo le fatiche del viaggio e le scoperte che a mano a mano arricchivano la nostra esperienza.

 

Cosa ha visto?

Ho incontrato una bella realtà di Chiesa, la parrocchia di San Giuseppe, con il suo parroco padre Clement. Ho avuto la gioia di presiedere l’eucaristia domenicale. Due ore di canti, preghiere, di processioni, di festa e di comunione. Davvero al termine si poteva dire: “È bello per noi essere qui!”. Fossero così anche le nostre celebrazioni! E poi ho incontrato le due comunità di religiose: le suore di Sant’Anna, che ci hanno dato l’alloggio e la gran parte dei pranzi e delle cene, con suor Pamela, che come cuoca univa cibi locali e qualche inserimento italiano (ci ha fatto anche la pasta!); e poi le suore Camilliane, che hanno la fortuna ma anche la grande responsabilità di abitare nella casa che fu di Annalena e le sue compagne, di gestire il centro di riabilitazione per bambini disabili, il dispensario e l’eremo.

 

Cos’è l’eremo?

L’eremo è una costruzione credo unica in Kenya. Una costruzione di dieci metri quadrati circondata da muro altro tre metri circa, con due stanze come camera e studio e una torre. La torre è di dieci metri, c’è una scala a pioli cementati su un angolo dalla quale si accede ad una stanza passando per una botola. Insomma un luogo per isolarsi e stare a tu per tu con Dio.

 

Come mai Annalena si è fatta costruire un eremo?

Annalena aveva bisogno con Dio, sentiva la necessità di stare con Lui, per non smarrire il senso del suo stare in mezzo ai poveri. Per non perdere di vista il senso di quello che faceva, per non lasciarsi travolgere dalle cose da fare e rischiare alla fine di scadere in funzionario della solidarietà, ma che non ama le persone che aiuta. Lì abbiamo celebrato la messa, noi dodici del gruppo insieme alle suore. È stato un momento davvero intenso. Avvertivamo la presenza del Signore e di Annalena. Abbiamo celebrato nell’angolo dove sono state sparse le sue ceneri. Abbiamo lasciato come ricordo la biancheria per altare che resterà a disposizione di tutti coloro che andranno a celebrare nell’eremo, biancheria che è stata regalata dalle suore del Corpus Domini di Forlì. Dopo la messa tutti hanno trascorso almeno un’ora di silenzio nell’eremo.

 

Avete anche inaugurato un edificio scolastico in memoria di don Mino?

Giovedì 7 novembre, appena arrivati, insieme con il vescovo di Garissa, mons. Joseph Alessandro, abbiamo inaugurato un’aula scolastica per i ragazzi della scuola primaria che ospita circa 3000 ragazzi. Il prossimo anno scolastico potranno lasciare l’ombra della pianta che li ospitava e sedersi su sedie e scrivere sui banchi che prima non avevano. Non tutti gli alunni, infatti, hanno a disposizione un’aula scolastica. Per la verità, non hanno neanche bagni sufficienti.

 

Cosa l’ha colpita ancora?

Le capanne di Wajir e le scuole. La gente vive ancora nelle capanne. Non ha bagni a disposizione. Anche se poi vedi le donne che escono con i vestiti che sembrano appena stirati. Ma insieme alle capanne, mi hanno colpito le scuole. Sono il segno della speranza per i ragazzi. Mi ha emozionato una frase di Daniele, un anziano cattolico, che ci ha detto: “Gli insegnanti sono gli agenti di cambiamento per Wajir”! E anche i cattolici danno il loro prezioso contributo. Le suore di Sant’Anna gestiscono una scuola primaria e vorrebbero offrire anche la possibilità ai loro alunni di frequentare la secondaria. In parrocchia c’è un piccolo asilo che ha bisogno di altri locali per crescere.

 

Avete incontrato anche altre realtà scolastiche?

Per la verità, in tutto il Kenya la chiesa si distingue per la carità e per le scuole. Anche a Nairobi abbiamo visitato uno splendido centro professionale gestito da don Valerio Valeri, sacerdote della Fraternità San Carlo, originario di Santa Sofia, che ancora a 80 anni dà la possibilità ai suoi ragazzi di trovare lavoro. Abbiamo avuto la fortuna di essere accompagnati da don Alfonso Poppi, originario di Modena, anche lui della Fraternità San Carlo, parroco di San Giuseppe di Nairobi, che è stato con noi in tutti e dieci i giorni di permanenza in Kenya.

 

Cosa possiamo fare per aiutare queste persone?

I bisogni sono tanti: pozzi, sostegni a distanza, aule scolastiche, borse di studio…

Vorremmo continuare noi, oggi, a custodire i figli di Annalena: i poveri di Wajir, i bambini disabili in particolare. Abbiamo visitato una miracolosa scuola per sordi. Dovremmo lasciarci animare dallo spirito di Annalena: cosa avrebbe fatto oggi per i “suoi” somali?

Lei sapeva unire azione a contemplazione. Vorremmo favorire l’utilizzo dell’eremo, in collaborazione con la diocesi, la parrocchia e le suore. L’eremo non è un museo, ma va vissuto, frequentato, messo a disposizione di chi vuole stare con Dio.

E poi, mi permetto di aggiungere, sostenere e incoraggiare le vocazioni di chi vuole prendere il posto di Annalena. Qualcuno viva concretamente con i poveri, non solo scriva o ci trasmetta i ricordi di Annalena.

 

Ma faceva caldo? Che clima avete trovato?

Si, faceva caldo. Meno di altre volte e di quello che ci saremmo aspettati. Ha anche piovuto molto, facendo crescere fiori ed erba, dando una immagine rara di Wajir. Di solito la stagione delle piogge avviene in aprile. La pioggia è stata vista come una benedizione!

 

 

Una delegazione forlivese, con il vescovo, mons. Livio Corazza, andrà a Wajir, in Kenia, il luogo della prima missione africana di Annalena Tonelli, per inaugurare una nuova scuola, intitolata a don Mino Flamigni, che è stata realizzata grazie al contributo della cooperativa Paolo Babini e dell’associazione omonima, in collaborazione con il Comitato per la lotta contro la fame nel mondo, la diocesi di Forlì-Bertinoro e l’associazione VolontariA.

Il progetto “Una scuola nel deserto” prevede anche la costruzione di due pozzi, già realizzati, due toilette esterne alla scuola e la ristrutturazione dell’eremitaggio di Annalena, oggi in rovina.

Oltre al Vescovo, della delegazione fanno parte, tra gli altri, Sara Barbieri e Massimiliano Nunziatini della coop. Paolo Babini, Antonietta Orioli, presidente dell’associazione omonima, Michele Lanzoni, presidente di VolontariA, Sauro Bandi, già presidente della Caritas, Davide Drei, già sindaco di Forlì e Andrea Saletti, nipote di Annalena.

La delegazione partirà il 5 novembre dall’aeroporto di Bologna con destinazione Nairobi, dove ai forlivesi si unirà padre Alfonso Poppi, missionario a Nairobi. Il 7 novembre verrà inaugurata la scuola a Wajir, dove nei giorni seguenti è previsto un programma di visite e incontri. Il 12 rientro a Nairobi, tour della città e visita alla comunità di padre Poppi dove opera anche padre Valerio Valeri, originario di Isola di Santa Sofia. Il 14 ritorno a Forlì.

Annalena rimase a Wajir dal 1970 al 1984 e così raccontava il suo impatto con il Kenia: “Più passano i mesi, più mi convinco che il mio futuro è in Africa. Sono certa che alla fine scoprirò che anche la vita qui è grazia, perché tutto è grazia, se io dovunque mi trovo, vivo semplicemente, nello sforzo umile ma potente e continuamente rinnovato di imitare il Cristo”.