Messaggio alla città per la Festa di San Mercuriale 2023

26/10/2023

Festa di San Mercuriale

26 ottobre 2023

Patrono secondario della Diocesi di Forlì-Bertinoro

MESSAGGIO DEL VESCOVO ALLA CITTÀ



Carissimi forlivesi,
nel celebrare la festa di san Mercuriale, non possiamo non manifestare subito la nostra solidarietà con il popolo armeno, da cui proveniva il nostro primo vescovo forlivese. Ricordo che oltre centomila armeni residenti nel Nagorno-Karabakh hanno dovuto lasciare le proprie case, improvvisamente, rifugiandosi in Armenia. Il popolo armeno ci è caro anche per le sofferenze che ha dovuto patire ugualmente in un recente passato. Non ci è dato sapere il motivo per cui san Mercuriale sia giunto fino a noi, ma certamente è dovuto emigrare come tanti suoi connazionali e forse questo lo ha temprato nell’affrontare le sfide del suo tempo, simboleggiate dal drago che ha sconfitto insieme al confratello san Rufillo.
Impariamo da loro a non arrenderci di fronte alle difficoltà e a metterci a servizio di tutti gli uomini e le donne, anche del nostro tempo.
I vescovi, come ogni cristiano, cercano di seguire quello che viene annunciato fin dall’inizio della Gaudium et spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. E ancora: “La comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”. Solidali nel bene da promuovere e nel male da contrastare.

Insieme al popolo di provenienza del nostro patrono, manifestiamo la nostra solidarietà e vicinanza con il popolo ucraino, che continua a morire e soffrire sotto i colpi della guerra sempre più atroce e assurda. La preghiera e l’accoglienza non vengono meno, ma certamente ci auguriamo che la saggezza prevalga sull’odio e sulla furia devastatrice.

In questi giorni è scoppiata un’altra guerra, possiamo dire fratricida anch’essa (come tutte le guerre, d’altra parte…dovremmo dire fra vicini di casa!). Con manifestazioni di odio e di accanimento sempre più feroci. La ricerca della morte e della distruzione del nemico sembra l’unico scopo dell’esistenza di coloro che odiano. Il volto umano sembra sfigurato e irriconoscibile.
Eppure, sono nostri simili. Non sono di un altro pianeta e genere. Sono uomini e donne come noi (per la verità, sono poche le donne fra i carnefici). Gli episodi frequenti di femminicidio ci ricordano che quando si perde il lume della ragione e del rispetto dell’altro si possono commettere i peggiori crimini.
Nei giorni scorsi è arrivato a Forlì “L’albero dei tutti” con raffigurate le oltre 400 vittime della guerra di mafia perpetrata contro servitori dello stato, uomini (in cima fra tutti il Giudice Falcone), donne e bambini (ancora bambini!).
Cari forlivesi, noi abbiamo la fortuna di vivere in una città dove le istituzioni e una cultura diffusa della solidarietà fanno da antidoto, e ci difendono da questi estremi confini del male.
Ci sono risorse umane, culturali e sociali che ci aiutano a custodire e incrementare la cultura della vita e della coesione sociale, risorse che ci aiutano a custodire e difendere il bene comune della famiglia umana. La scuola, la chiesa, l’università, il culto dell’arte e della cultura, la promozione dei valori della solidarietà, dell’accoglienza, del volontariato gratuito, del ripudio della violenza anche verbale ci aiutano a contrastare abbastanza il male che c’è dentro e fuori di noi. In ogni caso, da non sottovalutare.
La comunità cristiana favorisce il diffondersi di questi frutti: mettersi a servizio della crescita della cultura della dignità umana presente in tutti, con una particolare attenzione ai più piccoli, ai più deboli e ai più svantaggiati.
La missione di un cristiano è quella di ricordare che siamo tutti fratelli e sorelle. Perché tutti siamo figli di Dio, che è Padre di tutti. Cristiani o non cristiani, credenti o non credenti, ricchi o poveri, uomini o donne. Tutti ugualmente amati da Dio.  
Ho riletto i messaggi degli anni scorsi: in essi, come in questo, sottolineo sempre la necessità di non sprecare il tempo che abbiamo ricevuto in dono nascendo in questa vita usandolo male e facendoci del male. Non ha senso. Penso che il compito del vescovo sia uno solo: annunciare a tutte le genti e a tutto il mondo, con le parole e con la vita, il vangelo di Gesù. Il vangelo non è un libro, ma è la bella notizia che Dio Padre c’è e Gesù è il volto di Dio.
Un Dio che generandoci, come ogni padre e come ogni madre, ama e desidera per i suoi figli la felicità. Per loro sogna una vita con le stesse caratteristiche di un interminabile banchetto di nozze. Il contrario, quando cioè questo non avviene, non è volontà sua, ma è frutto della cattiveria, della superficialità, dell’egoismo degli uomini e anche del divisore, il demonio che agisce e opera. Ma penso che vedendo che ci arrangiamo da soli, il demonio potrebbe anche stare tranquillo e disoccupato. C’è chi lavora per lui con grandi risultati, come anche vediamo in questo tempo.

Partendo da queste premesse e planando sulla nostra realtà forlivese, dovrei dire che ci sono luci e ombre.
Veniamo da anni difficili. Abbiamo iniziato il terzo millennio con l’attacco alle torri gemelle di New York, che ha dato inizio ad una escalation di guerre, conflitti, terrorismo, tensioni, che hanno colpito alla fine un po’ tutti.
Dal 2008, come altri, anche i forlivesi hanno dovuto affrontare molte crisi che si sono susseguite: in particolare, la crisi finanziaria che è poi confluita nella crisi economica, la pandemia da Covid-19, infine la guerra in Ucraina.
I riflessi della guerra, più ancora della pandemia, hanno compromesso gravemente anche il nostro stile di vita, seminando angoscia per il futuro, crisi energetiche, gravi conseguenze economiche e sociali.
Dovevamo preoccuparci ed affrontare le conseguenze della crisi climatica quando siamo stati travolti, letteralmente, da miliardi di metri cubi d’acqua. Le conseguenze sono state drammatiche e sconvolgenti, le ferite le porteremo per diversi anni. Ora, ai primi di ottobre, il 7 ottobre, è riesploso il conflitto nella Terra Santa. Di una gravità e una disumanità incredibile. La volontà dei protagonisti del più efferato dei delitti, l’uccisione dei bambini, ha il chiaro intento di render irrealizzabile la pace, anche solo di parlarne, almeno con questa generazione. La solidarietà con le vittime deve essere totale. E davanti a loro, la promessa che non possiamo dimenticare più una condizione impossibile di vita da parte di milioni di persone. Di loro ci ricordiamo solo se succede qualcosa. L’indifferenza e l’ignavia prima o poi ci presentano il conto.
Sono tutti eventi che ci toccano e si ripercuotono anche in mezzo a noi.
Pensavo che, come molti di voi che mi leggete quando succede qualcosa, la prima cosa che si cerca di fare è di proteggere istintivamente i bambini. Durante le guerre sono i primi ad essere protetti e portati nei rifugi. Noi, oggi, qui, come possiamo proteggerli? Li proteggiamo lottando per un futuro migliore!
Mi è stato chiesto nei giorni scorsi, durante la celebrazione del 75° dell’Enaip: come stanno i giovani? Se sto ad alcune cose che vedo, stanno male. Ci sono ragazzini (pochi) che distruggono e vandalizzano. Ci sono ragazzi che non vanno a scuola né al lavoro, sono chiusi in casa, e non sono pochi. Ci sono ragazzi che passano la giornata guardando il cellulare: non lo mollano né a scuola, né nei centri estivi (l’ho visto con i miei occhi!), né con gli amici, neppure quando mangiano. E potrei continuare.
Ma se osservo altre situazioni, il mio giudizio cambia. Mi porto ancora negli occhi e nel cuore l’esperienza gioiosa e bella delle Giornate Mondiali della Gioventù, che hanno visto la presenza di oltre un milione e mezzo di giovani provenienti da tutto il mondo. Quattrocento erano anche della nostra diocesi. Essi si sono impegnati tutto l’anno per mettere insieme i soldi per andare a Lisbona e partecipare alla GMG, e sono stati felici e continuano a ritrovarsi. Ci sono ragazzi che hanno spalato fango durante l’alluvione senza che nessuno li chiamasse. Bella notizia nella bella notizia, tra questi giovani che spalavano fango sottolineo la presenza di una decina di giovani musulmani che, di loro iniziativa, guidati dal Presidente degli Islamici forlivesi, sono venuti a spalare fango davanti al seminario. Ci sono ragazzi che sono andati per un mese o anche più, organizzati dall’ufficio missionario, a condividere la vita di tanta umanità che soffre nelle zone più povere del mondo. Ad imparare a vivere e fare qualcosa di utile per gli altri. Ci sono ragazzi che si mettono a servizio di altri ragazzi più piccoli nei centri estivi, nei campi estivi (scout, CL, ACI, gruppo di “Sappada”, Parrocchie...). E potrei continuare. Se vedo questi ragazzi devo rispondere che i ragazzi stanno bene! Il bene prevale sul male: sono davvero contento di questo.
Ci accontentiamo? No, dobbiamo fare di più. Soprattutto per integrare le nuove generazioni di immigrati. In particolare i giovani immigrati di seconda generazione vanno aiutati ad integrarsi. La loro presenza fa emergere almeno tre questioni che qui solo accenno: l’obiettivo di un lavoro dignitoso per tutti, non solo come fonte di reddito ma anche come strumento di realizzazione personale; la ricerca di una casa per le nuove famiglie (con l’urgenza del recupero degli edifici del centro storico); a fronte del gelo demografico che coinvolge anche le famiglie di Forlì incentivare e promuovere l’accesso ai servizi.
Insieme con i giovani, dobbiamo avere grande attenzione per le vittime dell’alluvione. L’oblio mediatico nazionale è già sceso su tutta la vicenda: non deve succedere anche da noi. Vanno date risposte concrete e rapidamente al dramma dei danni subiti, ma anche alle paure per il futuro. Ogni volta che piove, abbiamo tanti hanno paura! Ringraziamo le Istituzioni che si sono impegnate, ma c’è ancora tanto da fare.
Per non parlare del terremoto, anche se le dimensioni del danno sono molto diverse, sembra che sia del tutto passato con l’ultima scossa. In realtà ci ha lasciato, per esempio, una ventina di chiese inagibili, e qualche migliaio di persone fuori casa.

Alle gravi emergenze abbiamo risposto con prontezza, ma ci manca la virtù della perseveranza. A questo servono le Istituzioni: lavorare anche quando tutti o quasi sono rientrati nella routine quotidiana. Ringrazio tutti coloro che agiscono anche senza le luci della ribalta. Non costringiamo coloro che soffrono ad alzare la voce per farsi sentire.
Infine, guardo alla tristezza e disperazione dell’ultimo conflitto scoppiato in quella che per noi è la Terra Santa, la terra delle tre religioni monoteiste, la terra di Gesù: eppure anche qui, nella sconvolgente atrocità, si sono accese luci di speranza. Martedì 17 ottobre, alla mattina, in occasione della giornata di preghiera e di digiuno, ci siamo ritrovati fra tutti i responsabili delle comunità religiose, figlie di Abramo, a pregare e riflettere insieme con i bambini della scuola dell’infanzia delle suore Francescane di via Cantoni. La scuola, come altre di Forlì, è composta da bambini provenienti da tutto il mondo. Una comunità multietnica. Ci siamo trovati: un prete rumeno ortodosso, due preti greco–cattolici, un rumeno e un ucraino, il presidente degli Islamici forlivesi. Ciascuno dei rappresentanti religiosi aveva davanti a sé diversi bambini della propria religione. Ci siamo abbracciati e abbiamo pregato. Con noi c’era anche la rappresentante del coordinamento del dialogo ebraico cristiano. Una piccola storia, ma che può diventare seme di pace per una convivenza pacifica e una lezione per tutti. I bambini sono stati le prime vittime e dai bambini vogliamo ripartire.

Cari forlivesi, non vi ho detto cose che già non sapete. Ma un conto è saperle, un conto è viverle. La comunità cristiana da secoli legge il Vangelo, ma da secoli incontra difficoltà nel metterlo in pratica. Non ci meravigliamo. Abbiamo capito una cosa e ce lo proponiamo anche quest’anno: da soli nessuno può farcela. E per stare insieme ci vuole coraggio, costanza, pazienza, spirito di comunione.
Lo abbiamo visto quanto conta tutto questo, nelle tante (troppe) calamità. Dobbiamo imparare a camminare insieme. Senza correre o senza stare fermi. Sì, è vero, ci vuole coraggio a camminare insieme. San Mercuriale ce lo ha insegnato e, con lui, san Rufillo, san Pellegrino, beata Benedetta, beata Clelia, Annalena e don Pippo e tanti altri forlivesi che ci hanno insegnato a non lasciarci abbattere dalle difficoltà, che hanno lottato per costruire relazioni significative per il bene di tutti.
La Madonna del Fuoco, con san Mercuriale, illumini il nostro cammino e ci aiuti tutti e sempre a vivere da fratelli e sorelle.

Forlì, 26 ottobre 2023
 + Livio Corazza
 Vescovo di Forlì-Bertinoro