Sono andato a rileggere le omelie dei due anni precedenti. L’anno scorso mi sono soffermato in particolare sulla richiesta di curare di più l’Ars celebrandi. Abbiamo dovuto interrompere le celebrazioni (con il popolo) per tre mesi, ma la cura rimane e ringrazio tutti coloro che hanno messo grande impegno su questo. Molti fedeli spesso si allontano dalla fede e dalla chiesa anche per la trascuratezza, l’improvvisazione, la noia delle omelie… Seconda cosa detta lo scorso anno, chiedevo di esporre un orario dove i fedeli potessero trovare un confessore. Infine, chiedevo un impegno per le vocazioni, di fare la proposta a un giovane… È stata rinnovata l’equipe del seminario regionale, la propedeutica è condotta bene. Non abbiamo scuse.
Quindi, se non parlo di questi punti, non è perché non siano importanti, ma solo per non ripetermi.
Quest’anno perciò, cari confratelli, desidero partire dall’antifona d’ingresso:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
mi ha mandato per annunziare ai poveri il lieto messaggio
e a risanare chi ha il cuore affranto.
L’antifona d’ingresso illumina e anticipa il cuore del messaggio della festa del santo patrono dei parroci.
È vero, non tutti i preti sono parroci, ma tutti i preti sono a servizio della comunità cristiana, tutti condividono la sollecitudine pastorale del vescovo e di tutto il collegio presbiterale. Soprattutto, tutti noi condividiamo la stessa unzione. Siamo stati consacrati con l’unzione. L’olio del crisma ha bagnato il nostro capo, pochi o tanti anni fa. Siamo stati scelti per essere mandati ad annunziare ai poveri il lieto messaggio e risanare chi ha il cuore affranto.
Mi piace la definizione di poveri dell’antifona: coloro che sono dal cuore affranto. E Dio sa quanti sono oggi in queste condizioni.
Anche fra di noi, cari fratelli ci sono alcuni con il cuore affranto, anche in conseguenza della pandemia.
Non ci sono stati confratelli contagiati, tranne il nostro don Vittorio che ha superato brillantemente la malattia. Ma ci sono alcuni più provati da questo momento.
A questo proposito, penso che dovremmo guardare e ascoltare chi tra noi potrebbe essere tentato di trascurare quelle sempre attuali misure di precauzione a tutela della nostra e altrui salute. Abbiamo il dovere di dare l’esempio ….
Le prime persone a cui annunziare il lieto annunzio sono proprio i nostri confratelli. Sono estremamente convinto di questo. Non è un ripiegamento su noi stessi, una tentazione clericale. Come vescovo, voglio confermare che chi è in difficoltà non si senta lasciato solo, trova sempre una porta aperta.
Ma anche sprono con decisione, ad aiutarci gli uni gli altri, ad essere generosi verso i confratelli.
Un grazie particolare ai nuovi parroci, per la loro disponibilità. Sia di incoraggiamento anche ad altri. E colgo l’occasione per ringraziarvi tutti per la testimonianza, lo zelo, la fede, la speranza e la carità pastorale, dimostrate in questi mesi così inediti ed impegnativi. Ringrazio tutti coloro che non si sono fermati a lamentarsi, ma hanno incoraggiato e sostenuto confratelli e fedeli, con la preghiera e la prossimità reale o virtuale, ma sempre viva.
Ci sono fratelli e sorelle, figli e figlie di Dio, che hanno il cuore affranto, che hanno bisogno di noi.
Ci sono alcuni che senz’altro hanno bisogno più di altri. I primi credo siano i bambini e gli anziani. Gruppi sociali che, per diversi motivi, hanno subito e subiranno ancora nel futuro più di altri le conseguenze di questo periodo. Le famiglie con disabili: lasciate sole per mesi… E poi gli stranieri, oggetto delle attenzioni che si hanno verso i capri espiatori…
E poi i disoccupati, le donne sole con figli, ecc.…
Ma per accorgerci dei poveri che hanno il cuore affranto, occorre avere lo sguardo compassionevole di Cristo. “Vedendo le folle ne sentì compassione”, commentava il vangelo di Matteo. Anche domenica scorsa abbiamo incontrato nel miracolo della condivisione dei pani il cuore compassionevole di Gesù (confermato dal Perdon d’Assisi!).
Soffrire con, mettersi nei panni di, solo così sapremo guardare gli altri con gli occhi di Gesù. Ma, noi pastori, siamo abituati a questo. Nel senso che abbiamo l’Habitus!
Altrimenti, corriamo anche noi il rischio di vedere la gente con gli stessi sguardi del mondo. Anche noi corriamo il rischio di guardare i poveri non con gli occhi di Gesù, ma con altri occhi.
Siamo figli del nostro tempo e paghiamo un prezzo alto, talvolta, all’influenza del mondo. Come farci gli occhi dello stesso sguardo di Gesù? C’è un solo modo: interiorizzare il vangelo; solo il vangelo ci fa vedere la verità con gli occhi di Dio. Leggiamo il vangelo, per lasciare che sia il suo Spirito ad animarci e guidarci.
Che Chiesa ne uscirà da questo tempo così choccante?
Non sappiamo come ne usciremo da questo tempo. Se siamo realisti, ho la sensazione che ne usciremo provati, impoveriti sotto diversi punti di vista. Non solo quello economico. Anche se siamo, come preti, ancora tra le categorie più garantite… Eravamo e siamo sempre di più una minoranza.
Siamo messi alla prova.
Ma la prova non ci avvilisca o ci abbatta; sull’esempio del Curato d’Ars, abbracciamo ancora di più il messaggio del vangelo.
Siamo richiesti di ripartire (anzi, rinascere) da quello che veramente conta, dovremo lasciare tante strutture e sovrastrutture, ma ci resterà sempre il tesoro della nostra vita, per il quale abbiamo dato la vita: il nostro Signore Gesù e il suo vangelo.
È iniziato un viaggio, e nello zaino del pellegrino nel cambiamento, dobbiamo mettere solo l’indispensabile. E tre cose sono le cose indispensabili. Lo impariamo dal curato d’ars. COME PELLEGRINI DEL CAMBIAMENTO, Mettiamo il pane del cammino, l’eucaristia. Il messale nuovo ci aiuti a rinnovare la nostra messa. E poi la parola di Dio. Una parola da meditare quotidianamente da soli e insieme. Quando pensiamo a san Giovanni Maria Vianney pensiamo alle tante ore passate in confessionale. E su questo non occorre che mi soffermi. Ma non dimentichiamo il suo amore e zelo per la catechesi, per la formazione. Prioritaria è la catechesi degli adulti con il testo fondamentale che è il vangelo, che ci riscalda e ci guida.
E, infine, la compagnia dei fratelli e delle sorelle che camminano con noi. Non siamo soli. Ai tempi del curato d’Ars era dato forse più scontato. Noi, in un’epoca di individualismo esasperato, non dimentichiamo la custodia della comunione fraterna. La stessa celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana sia l’occasione per rinnovare lo spirito fraterno della parrocchia.
I cambiamenti non ci spaventeranno se la nostra fiducia sarà in Dio e non sui nostri mezzi.
I cambiamenti sono di due generi. Quello che altri ci impongono. E quelli che dobbiamo affrontare noi, secondo la volontà di Dio.
Sono usciti, in questi giorni, parecchi documenti. Il Nuovo direttorio di catechesi; l’Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” (29 giugno 2020), della congregazione per il clero; “È risorto il terzo giorno”, una traccia di riflessione elaborata dalla Commissione Episcopale per la Dottrina, l’Annuncio e la Catechesi della CEI per accompagnare equipe diocesane, catechisti e quanti sono impegnati sul fronte dell’annuncio e dell’iniziazione cristiana. Si tratta di una “rilettura biblico-spirituale dell’esperienza della pandemia”. Quest’ultimo documento verrà illustrato a settembre, nelle due giorni per i preti e i diaconi.
Questi nuovi documenti esprimono una esigenza: tutti siamo chiamati a rimetterci in cammino, a lasciare le antiche sicurezze (se ci sono ancora), e ripartire dallo spirito che ha animato Don Giovanni Maria Vianney.
Ricordiamo il periodo in cui è vissuto (1786 – 1859), durante e subito dopo la rivoluzione francese, con grandi ostilità nei confronti della fede, disorientamento nella chiesa, povertà estrema; eppure la sua dedizione alle cose essenziali per un prete – la confessione, la messa, la catechesi, la carità, l’aiuto ai più poveri – hanno lasciato il segno. Uno stile di vita povero, per certi versi imposto dalle circostanze, ma trasformato in risorsa spirituale per l’evangelizzazione. Non era lamentoso, non astioso nei confronti degli altri, ma bruciante di amore per Dio, la chiesa e i fedeli.
Lasciamoci guidare anche noi fratelli dall’amore. Dalla compassione, dallo zelo. Di questo ci verrà chiesto conto. Ritorno al Vangelo. Cosa chiede ai discepoli Gesù oggi nel vangelo? Chiede di pregare. Una preghiera comunitaria. Ve lo chiedo anch’io, non stancatevi di pregare, e di pregare insieme. Se potete, pregate insieme la liturgia delle ore. Abbiamo celebrato anche troppe messe da soli.
Ai discepoli, Gesù ha dato il potere di scacciare i demoni. Anche a voi chiedo di scacciare il demonio della depressione, dello scoraggiamento, della divisione, di vincere il maligno che ci fa dividere fra noi.
San Giuseppe, custode della chiesa, Maria, madre della chiesa, il Santo curato d’Ars, patrono dei parroci, preghino per noi e noi cercheremo di essere fedeli testimoni e lieti annunciatori del solo messaggio capace di risanare chi ha il cuore affranto e di rendere piena e bella la vita di ciascuno. Di santificare e non solo sanificare.