Omelia ai funerali di mons. Dino Zattini 2021

03/07/2021

Omelia ai funerali di mons. Dino Zattini (3 luglio 2021)


La Provvidenza ha voluto che le esequie di mons. Dino si tenessero il giorno della festa di san Tommaso apostolo. Non ho cambiato le letture, le ho trovate adatte al momento che stiamo vivendo, carico di tristezza e nello stesso tempo pieno di speranza. Non tragga in inganno la scelta di ricordare san Tommaso. Pur nella debolezza umana, non ho collegato don Dino a san Tommaso per la sua incredulità; l'ho fatto in riferimento alla sua professione di fede. La professione di fede pasquale di Tommaso rappresenta un punto fondamentale del vangelo di Giovanni. San Tommaso è passato dal "se non vedo non credo" alla professione intensa e profonda: "Mio Signore e mio Dio!" e la conferma di Gesù: "Perché tu hai veduto hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!"

La fede di don Dino appariva serena, convinta, e di certo non superficiale. Il suo lungo confronto con i ragazzi e giovani nei suoi tanti anni di insegnamento anche nelle scuole pubbliche e la sua sete di ricerca culturale lo portavano a non ignorare le domande di senso, continuamente ripetute e rimesse in discussione in tutti gli anni della sua vita.

Ci sono tanti episodi che dimostrano la vivacità culturale di don Dino, che ricordo solo per cenni. Tante volte l'ho visto partecipare ad incontri di dialogo e di approfondimento. L'ho visto anche alla mostra su Dante; d'altronde, come avrebbe potuto mancare alla mostra, dove qualche spazio è stato dato alla vicenda di Paolo e Francesca, vicenda tragica che avvenne secondo don Dino nella sua amata Castelnuovo?

Si trovava a suo agio nei dibattiti culturali, sapeva intervenire con amabilità e con il suo sorriso anche nelle questioni più difficili, dialogando senza problemi con personalità apparentemente più lontane. Un aneddoto. Più volte mi raccontava della visita dal Papa in compagnia di un sindaco forlivese che certo non poteva definirsi praticante. La nomina a Cavaliere avvenuta l'anno scorso l'ho interpretata come un riconoscere da parte della società civile della sua opera culturale e sociale.

Ma, più di tutto, il suo dialogo costante era con il suo Signore. Spesso lo ritrovavo, alla sera tardi, mentre pregava nella cappellina del Seminario a recitare compieta. In tutte le vicende dei suoi anni di servizio sacerdotale, don Dino non ha mai perso la bussola del Vangelo. E il Vangelo non è un libro, come molti pensano. Il Vangelo è una persona: è Gesù Cristo. Gesù Cristo morto e risorto. Anche per questo abbiamo lasciato questa pagina. È la pagina della seconda apparizione di Cristo risorto ai suoi discepoli. Evento centrale della storia dell'umanità e della vicenda umana e cristiana di don Dino.

Don Dino è stato un uomo di fede ed è stato un servitore della Chiesa.

I vescovi Zarri e Pizzi gli hanno affidato compiti di grande responsabilità. Vicario Generale e Rettore del Seminario. E poi mille compiti non meno importanti nella cura d'anime. Voglio ricordare l'ultimo. Martedì scorso, 29 giugno, ricorreva il suo anniversario di ordinazione sacerdotale. Ha celebrato messa dalle sorelle del Corpus Domini (quanti anni ha celebrato da loro, dal lontano 15 settembre 1984). E, tra l'altro, ha parlato proprio della "Chiesa - sono sue parole - sposa di Cristo che poggia sulla fede degli apostoli in un miscuglio di limite e di forza".

In tutti questi compiti don Dino ha dimostrato un grande zelo pastorale. Non si tirava mai indietro. Quando qualcuno aveva bisogno, correva. Diceva di sì senza distinzioni. Serviva la chiesa perché amava la chiesa. Se siamo qui è perché anche don Dino, come tutti noi, ha bisogno di preghiere di suffragio. Anche lui aveva limiti, fragilità, debolezze, testardaggini, colpe di cui chiedere perdono a Dio e noi con lui. Nel senso che non lo lasciamo da solo a chiedere perdono per i suoi peccati, preghiamo anche noi per lui. Ma con tutti i suoi pregi e i suoi peccati, don Dino ha sempre amato la Chiesa. Amava la Chiesa, come diceva san Paolo nella prima lettura, "edificata sopra il fondamento degli Apostoli e dei profeti, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. È in Lui che veniamo edificati per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito".

Non c'è Cristo senta Chiesa e non c'è Chiesa senza Cristo. Come potrebbe oggi Cristo dire agli aspiranti discepoli: "Venite e vedete?". La costituzione di una comunità alternativa alla dispersione fondata sulla paternità di Dio e la fraternità dei discepoli di Cristo è essenziale per incontrare oggi Gesù Cristo. Cristo lo incontriamo nella comunità. Fin dagli inizi della sua missione, Gesù ha chiamato dei discepoli a formare una nuova famiglia di fratelli e sorelle. Non c'è Cristo senza Chiesa e non c'è Chiesa senza Cristo. Senza Cristo e il suo Vangelo, la Chiesa è un gruppo senza significato, una stanza senza luce e senza ossigeno. Lo vediamo, dove non c'è Cristo spunta subito la vanagloria o l'autoreferenzialità, come dice papa Francesco, e può capitare di tutto.

Ne ha passate tante, don Dino, ma sembrava che niente e nessuna avversità potesse abbatterlo. Sempre avanti con il suo sorriso. Ha amato Cristo, ha amato la Chiesa, ha amato la sua terra, Castelnuovo e la Romagna, e gliene siamo grati. Voglio qui, porgere le condoglianze alla sua famiglia, al fratello, alla cognata, ai nipoti e ai parenti tutti. La sua famiglia, le sue origini, sono state molto importanti per don Dino. Ma era soprattutto un sacerdote. Fare il prete offre molte possibilità di esprimersi come uomini di fede, di cultura, di relazione, di aiuto alle persone e alle famiglie. Mette in contatto con giovani e anziani. È bello fare il prete. E don Dino ne era entusiasta.

Voglio chiudere con una citazione di Dante. Non dimentichiamo che era un uomo di grande cultura e di grande fede, di impegno civile e sociale e di spiritualità profonda. Mi piace pensare che anche la sua visita alla mostra su Dante, ultima tra le cose fatte, rientri non solo nella sua passione per Dante e la Commedia, ma nel senso più profondo delle cose. Quello che noi cerchiamo tutta la vita, con la vita. E che Dante sintetizza così: "luce intellettual, piena d'amore; amor di vero ben, pien di letizia; letizia che trascende ogni dolzore" (Par. 30, 4042).

L'idea che Dante dà della trascendenza gli era familiare. Essa è luce, somma intensità luminosa, altissima e fisica ad un tempo; luce "intellettual", luce spirituale, luce di fede, forza di significato e di valore divino e umano. Essa perciò è amore: "intelletto d'amore", forza e potere dell'auto-comunicazione divina; e "letizia": esperienza d'una raggiunta pienezza di senso.

Don Dino ha terminato la sua corsa. Lo strappo è stato per tutti doloroso. Possa ora incontrare nella pienezza e nella letizia il nostro Signore e tutto sarà per lui molto più chiaro. E a noi che restiamo quaggiù, in questo tempo così incerto e confuso, possiamo seguire, già qui e ora, la via che porta alla pace e alla vera letizia. Amen.