La prima messa con i fedeli, nella cosiddetta "Fase 2" della pandemia covid-19, la celebriamo ricordando, i nostri morti di questi mesi. Non soltanto gli oltre 60 morti della città di Forlì e gli oltre 100 di tutta la Diocesi, ma ugualmente ricordando tutti i morti accompagnati al cimitero senza una celebrazione delle esequie che potesse esprimere il nostro dolore, il nostro affetto, la nostra riconoscenza e la nostra speranza cristiana. Di questa pandemia, è stato di certo il momento più straziante che ha colpito tutti: una morte e una sepoltura nell'isolamento. Una sofferenza nella sofferenza. Ecco allora perché credo che sia doveroso per noi celebrare la prima messa con il popolo in cimitero. Seguiranno, in accordo con i parroci, le celebrazioni delle sante messe in suffragio dei nostri defunti.
"Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la spada, la sofferenza, la morte?". Ma se è anche vero che umanamente molti sono morti e sono stati sepolti lontano dagli affetti più cari, non sono stati abbandonati da Dio. Niente e nessuno potrà mai separarci da Cristo, abbiamo sentito San Paolo nella lettera ai Romani, né il dolore, né la sofferenza, né la morte. Anzi, ora sono presso Dio Padre, che accoglie i suoi figli per la vita eterna. Questa è la vera, unica consolazione. Sono in buone mani.
In questi giorni abbiamo ricordato i pastorelli di Fatima e mi ha sempre colpito il fatto che dopo pochi mesi dalle apparizioni, tutti tranne Lucia sono morti, a causa della “spagnola”, una devastante epidemia che seminò sofferenze e morte al termine della prima guerra mondiale, cento anni fa. Uno si sarebbe magari potuto aspettare che Maria, dopo essere loro apparsa, li avesse almeno salvati dalla morte. E invece ha donato loro molto, ma molto di più: una vita senza fine. Coltiviamo anche noi, chi tra noi ha il dono della fede, questa certezza. La vita è un dono di Dio, che non finisce mai. Anche se, come è successo a Gesù, non si può eludere ed evitare un passaggio doloroso, quello della morte. Nel vangelo di Giovanni, in modo drammatico e cruento viene rivelata la fonte della nostra speranza. Mentre viene aperto il costato di Cristo, nel momento della catastrofe senza speranza, fluiscono dal Signore sangue e acqua, segni dei sacramenti di Cristo. Nella catastrofe, ecco la salvezza. È quello che crediamo e che speriamo anche noi: dalla pandemia, dalla vittoria apparente della morte e della sofferenza, nasce la vita. Se è capitato a Gesù, capiterà anche a noi.
Oggi, oltre al riprendere una nuova fase ricorre una lieta circostanza: la Chiesa di Forlì-Bertinoro si unisce infatti alla gioia di tutta la Chiesa nel ricordo del 100° anniversario della nascita di Karol Wojtyla, San Giovanni Paolo II. Il 18 maggio 1920 era nato a Katowice, in Polonia.
Tanti sono i ricordi e i motivi per dire grazie, a lui e al Signore. Forse molti di coloro che oggi piangiamo, erano presenti in piazza Saffi l’8 maggio 1986 e hanno gioito per la sua presenza. E saranno rimasti colpiti come me, dalle prime parole durante il suo discorso inaugurale, parole che tante volte abbiamo ricordato anche in questi tempi: "Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo". E infine, indimenticabili restano anche altre immagini drammatiche, gli anni della sua malattia, vissuti però con profonda fede e indescrivibile coraggio, soprattutto gli ultimi giorni. Anche in questo, papa San Giovanni Paolo II ci è stato di guida e maestro; ci ha indicato come sia possibile affrontare le sofferenze e la morte.
Cari fratelli e sorelle, siamo in un cimitero. Luogo di morte, di sofferenza, di ricordi, di amore, luogo di speranza. Sì, per i cristiani è luogo di speranza. Qui, per i cristiani, i nostri morti sono in attesa. Come i bambini attendono di nascere a questa vita, altrettanto noi in questa vita attendiamo di nascere al cielo. La seconda nascita, quella definitiva. E come non credevamo che fosse possibile una vita così bella, così ora non crediamo che sia così bella anche l'altra vita. Fidiamoci del Signore. Se potessero parlarci ci direbbero di un'altra attesa. Essi, da noi, viventi, si attendono di imparare dalle cose che accadono. Tempi difficili ci attendono, nei quali ci aspettano ancora prove e sofferenze. Essi si aspettano dai credenti di non perdere la fiducia in Dio, la speranza e la carità. E con la fiducia in Dio, e questo vale per tutti, non solo per chi crede, dovremmo desiderare di non perdere l'umanità, la solidarietà e la responsabilità. In una parola che ci unisce tutti, credenti e non credenti: la fraternità. Non dimentichiamo mai che siamo fratelli e sorelle. I nostri morti ce lo raccomandano. Ascoltiamoli quando facciamo loro visita. Sono qui tutti insieme, a ricordarci il nostro comune destino su questa terra. Inizia da oggi un tempo di messe celebrate con tanta fede, ma anche con tanta prudenza. Non sarà facile imparare. Abbiate pazienza con noi preti. Abbiamo bisogno della collaborazione di tutti per aiutarci a rispettare le regole. Durante le sante messe e nel resto della nostra giornata. Le conseguenze negative, lo sappiamo, sarebbero davvero pesanti, se dovessimo tornare a rinchiuderci in casa. Ma non è facile per nessuno. Ma non è impossibile se tutti fanno la loro parte.
San Giovanni Paolo II interceda per noi salute, pace sociale, solidarietà, e fraternità. Signore, ti presentiamo tutti i nostri cari defunti, accoglili nel tuo Regno di luce e di pace, tu la speranza che non delude, fa o Signore che non ti deludiamo neanche noi, aiutaci a ripartire con, ringraziando i nostri defunti e pensando al futuro dei nostri giovani. Amen.