Omelia all'azienda Rinieri per la festa di San Giuseppe Artigiano 2020

30/04/2020

Grazie a voi che mi avete accolto, ai titolari di questa azienda che quest’anno festeggia il centenario di fondazione, ai dipendenti, in questa vigilia della festa del lavoro e di San Giuseppe Artigiano. Questa festa originariamente doveva essere dedicata a Gesù lavoratore. Il lavoro di Gesù è una conferma della verità dell’incarnazione.

Nella prima lettura di oggi troviamo un uomo che si avvicina alla Parola di Dio e pone delle domande. Non riesce da solo a trovare risposte che lo soddisfino. Trova sulla sua strada Filippo, un apostolo. Filippo, come domenica scorsa ha fatto lo stesso Gesù con i due discepoli di Emmaus, si avvicina, e con pazienza lo aiuta a trovare quello che cerca. E l’uomo trova Gesù.

Quante domande si sarà posto anche San Giuseppe.

Anche in questi tempi ci poniamo tante domande sulla nostra esistenza. E tante attese. Ci siamo ritrovati fragili e deboli; non che prima fossimo forti e immortali, ma adesso ci rendiamo conto che siamo tutti coinvolti dentro lo stesso dramma. O direttamente, o per paura, o per le conseguenze anche economiche. Tutti ne veniamo toccati. E come ne veniamo fuori da questa situazione?

Chi ci salverà? La medicina ha e avrà un ruolo fondamentale. Ma sarà sufficiente un vaccino? O ci viene chiesto qualcosa ancora di più vero e di più profondo? Il virus ci ha fatto toccare con mano che nessuno si salva da solo. Il virus lo vinciamo non solo quando avremo il vaccino, ma quando sapremo rispondere insieme alle difficoltà con solidarietà e responsabilità.

Ecco cosa dice il documento della Pastorale sociale e del lavoro nazionale per il 1° maggio 2020: “Già prima dell’emergenza del CoVid-19, lo svolgersi degli eventi è stato un continuo susseguirsi di emergenze sul fronte del lavoro e dei cambiamenti climatici. Si tratta di emergenze correlate, al punto che in alcuni casi (come per l’ex Ilva di Taranto) prospettano l’ingiusto dilemma di dover sacrifica-re un problema per cercare di risolvere l’altro.”

Ma ancora prima, “il mondo è malato”, diceva già Paolo VI nella Populorum progressio (n. 66), e sembra che da allora si sia aggravata la malattia: basta pensare ai campi profughi, agli esiliati, alle zone calde (guerra, guerriglia e terrori-smo), alle discriminazioni razziali e religiose, alle mancanze di libertà politica e sindacale, allo sfruttamento nei posti di lavoro, alle zone di fame, di siccità e di malattie endemiche, alla diffusione dell’aborto e dell’eutanasia…. Oggi diciamo anche la pandemia.

Come rispondere a queste malattie?

Diceva San Giovanni Paolo II nella Sollecitudo rei socialis (n. 38) che “la solidarietà, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti.”

Il lavoro è luogo della solidarietà e della responsabilità.

Dove si costruisce qualcosa di buono per sé e gli altri.

Sono qui perché la speranza passa per il lavoro. E voi siete un segno di speranza. Il lavoro, l’occupazione è il termometro della crisi e della rinascita. Quando c’è meno lavoro o più sfruttamento nel lavoro, vuol dire che siamo ancora malati; quando aumenteranno i posti di lavoro e il lavoro sarà un luogo dignitoso, vorrà dire che stiamo guarendo. Preghiamo perché in questi tempi di crisi non vengano meno la sicurezza sul posto di lavoro e il rispetto della dignità.

Ma chi ci darà la forza per costruire un futuro di speranza?

Nel Vangelo Gesù si presenta come pane. Io sono il pane vivo…

Lo chiediamo ogni giorno nel Padre nostro: Dacci oggi il nostro pane quotidiano.

Oggi è minacciata la sussistenza stessa, il pane per vivere.

Per questo è necessario condividere il pane. Perché ce ne sia per tutti. Il “per tutti” è la frase più cristiana che ci sia. Non solo per me, ma per tutti. Se siamo con-tenti per chi ha lavoro, lottiamo perché ci sia per tutti. Condividiamo il lavoro. E per condividere davvero i beni occorre che siamo dotati dell’antidoto all’egoismo e al tornaconto personale.

Lo abbiamo visto anche in questi mesi. Quanto ci è costata e ci costa cara la corruzione (in questi giorni, alcuni benestanti hanno chiesto comunque 600 euro al governo…). Questo è peccato.

Quanto ci è costata cara l’evasione fiscale, che sappiamo tutti ammonta a un centinaio di miliardi all’anno, quanti medici e posti letto in meno negli ospedali. Questo è un peccato.

E poi ci sono le disuguaglianze sociali. Come, per esempio, il fatto che molti ragazzi non possano collegarsi alle lezioni scolastiche perché non hanno i mezzi. E poi, come avviene anche in questi giorni, succede che dimentichiamo la sorte dei più poveri, per esempio i profughi o gli irregolari. Questi sono peccati. Peccati sociali.

Per sanare queste malattie c’è bisogno di un nutrimento spirituale. La medicina da sola non basta. Per avere il coraggio e la forza di condividere il cibo materiale è necessario il cibo spirituale.

Papa Francesco nella Laudato si’ parla di ecologia integrale. Abbiamo bisogno di un’economia che metta al centro la persona, la dignità del lavoratore, e che sappia mettersi in sintonia con l’ambiente naturale senza violentarlo, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. Ma chi me lo fa fare, se non sono convinto e non colti-vo e custodisco valori di umanità e penso al bene comune per l’oggi e per le future generazioni?

E per questa via arriveremo alla vita eterna, cioè la vita dell’Eterno! Ecco il moti-vo per cui abbiamo bisogno dell’Eucaristia.

Mi colpiva il fatto che ieri veniva intervistato lo scopritore del vaccino della polio e sosteneva che questo vaccino poteva sconfiggere anche il covid.19, il coronavirus. Pensate che bello!

Ma anche noi abbiamo già il vaccino che guarisce le nostre malattie: “Io sono il Pane vivo disceso dal cielo: chi crede in me avrà la vita eterna”.

 

Saluto di Luciano Ravaioli, responsabile diocesano della pastorale sociale e del lavoro

Buona sera a tutti, anche a chi ascolta o ci ascolterà da casa.

Oggi è la sesta tappa della “Via della speranza” che la nostra Diocesi ha voluto organizzare in questi giorni di difficoltà, per mantenere viva la fiducia nel Signore e alimentare la speranza. Ringraziamo il vescovo Livio che ha voluto e ci accompagna in questo percorso toccando i luoghi e le ricorrenze più significative per la nostra comunità.

Oggi è anche la vigila del primo maggio, festa del lavoro che celebriamo con la liturgia di San Giuseppe Artigiano, voluta nel 1955 da Papa Pio XII per dare un protettore ai lavoratori e un senso cristiano alla festa dei lavoro.

Il nostro pensiero va a tutti i lavoratori, di tutti i settori – dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, dei servizi, sia privati che della Pubblica Amministrazione, siano essi dipendenti o lavoratori autonomi o imprenditori; soprattutto a chi un lavoro non l’ha mai avuto e invece dovrebbe averlo, a chi l’aveva o l’ha perso o rischia di perderlo, specialmente dopo questo periodo.

Il lavoro non è solo fonte di reddito ma strumento per realizzare sè stessi e dare il proprio contributo alla società.

Dice il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes al n. 33: “Quando uomini e donne per procurare il sostentamento a sé e alla famiglia, esercitano il proprio lavoro così da servire la società, possono giustamente pensare che con la loro attività prolungano l'opera del Creatore, provvedono al benessere dei fratelli e concorrono con il personale contributo a compiere il disegno divino nella storia”.

Mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola con una lettera indirizzata ai Sindaci della sua diocesi, in relazione alla ripresa della celebrazione delle messe ha affermato che all’uomo sono necessari sia i beni materiali, sia i beni relazionali che i beni spirituali, tutti necessari in ugual misura e fra loro intimamente connessi, ovviamente rispettando le disposizioni delle autorità politiche e sanitarie.

Termino questo saluto ringraziando il sig. Carlo Rinieri, titolare di questa impresa che oggi ci ospita con calore, affetto e disponibilità, la sua famiglia e i suoi collaboratori nell’impresa.