Le letture che la liturgia ci offre oggi sono davvero molto appropriate per il ricordo di don Dino.
Nella prima lettura, infatti, san Paolo fa l’evangelizzatore ed annuncia a chi lo ascolta chi è Gesù, il suo essere figlio di Dio, morto e risorto per noi. Quello che chiamiamo il Kerigma e che Papa Francesco ha definito così: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti” (Evangelii gaudium, 164).
Per Gesù, per questo Gesù, don Dino ha dato la sua vita. Qui a Grisignano, a Forlì e in Venezuela.
Il vangelo è ancora più chiaro e ci rivela lo scopo, il fine dell’evangelizzare: “Vado a prepararvi un posto, perché dove sono io siate anche voi”. Qualche volta lo dimentichiamo: il nostro destino, dopo un più o meno breve tempo su questo terra, è la vita eterna. E noi ne conosciamo la via. La via è Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita…”.
È il senso della vita di don Dino e della nostra vita.
Chi era don Dino?
Ci sono tre vite di don Dino, che possiamo riassumere così: la vita prima di diventare prete, la vita della sua missione a Forlì e, infine, la vita della sua missione in Venezuela.
Don Dino era nato il 10 dicembre 1924, fu ordinato sacerdote a Forlì nel 1948. Erano tempi difficili per l’Italia e per altri paesi di Europa, quando mancava tutto, e i giovani seminaristi risentivano nella loro vita ordinaria e nella loro educazione gli stessi bisogni dei loro contadini.
Sono stati 24 anni importanti che hanno segnato la sua vita: nato nel mondo contadino, povero ma non in miseria. Con valori di fede e di solidarietà molto forti.
Una volta ordinato prete, Don Dino ha esercitato il suo ministero soprattutto in mezzo ai contadini. Fu nominato cappellano a Roncalceci, a San Pancrazio e a San Francesco di Meldola, poi nel 1953 vicerettore in seminario, nel 1955 mansionario in Cattedrale e nel 1958 parroco di Grisignano fino al 1975, poi cappellano all’Onpi di Vecchiazzano.
Non dico che a don Dino non bastavano lo cose che faceva qui, ma di certo aveva bisogno anche di spazi più ampi.
Allora, nel 1978, partì come missionario per il Venezuela nella diocesi di Calabozo: “Avevo sempre pensato alla missione - raccontava lo stesso don Dino nel 2000, durante la sua ultima visita a Forlì - ma pensavo alle foreste dell’Africa con serpenti e leoni invece arrivai alla vasta pianura del Tropico lottando con le non meno feroci zanzare. Nel 1978 don Sergio Cicognani, che già da cinque anni si trovava in Venezuela mi ha invitato ad andare con lui. Così sono partito, quasi alla chetichella e con un po’ di tremore. Sono stato l’ultimo dei cinque avventurieri forlivesi in Venezuela: don Luigi Superga il corifeo, don Sergio il mio battistrada, don Tommaso Lazzari e il grande don Marcello Vandi”.
Mi soffermo adesso sulle parole di mons. Manuel F. Díaz Sánchez, Arcivescovo di Calabozo, del quale farò ampie citazioni della sua omelia che mi ha inviato lunedì scorso, giorno dei funerali di don Dino.
Innanzitutto, l’arcivescovo ricorda che la sua diocesi “ricevette un gruppo di sacerdoti italiani, proveniente dalla Diocesi di Forlì-Bertinoro, e, tra di loro giova ricordare Mons. Sergio Cicognani, Don Tommaso Lazzari e Don Luigi Superga. Quasi tutti ritornarono in Patria col passare degli anni e là sono morti. Ma Don Dino Campana, essendo ormai “nel mezzo del camin della sua vita”, portato dall’ardore missionario, va in Venezuela “non per una sosta breve o lunga, ma per restare in mezzo a noi, e, coerente con questa decisione, non ha voluto mai tornare in Italia. Noi, malgrado l’attuale situazione del Paese, e delle difficoltà che affrontavamo per assistere ai suoi bisogni, abbiamo finalmente rispettato il suo desiderio, ed è rimasto con noi fino alla morte. Colgo l’occasione per esprimere la mia gratitudine alla sua Diocesi di origine e alla sua famiglia, che hanno perseverato nell’offrire i mezzi per la sua manutenzione, e a tutte le persone ed istituzioni che lo hanno accolto e che gli sono stati accanto nei suoi ultimi anni.
La nostra Arcidiocesi, dunque, ringrazia Dio per aver annoverato Don Dino tra le file dei suoi operatori pastorali. Ringrazia per le sue opere di bene, per le sue prediche, per le sue sante Messe, per ogni sacramento amministrato da lui, per la parola di consiglio o di orientazione con la quale ha aiutato i fratelli che gli erano vicini, per le opere sociali che ha promosso e diretto, ed anche per quel carattere esplosivo col quale difendeva in modo veemente la gioventù dai vizi e i suoi fedeli dalla minaccia delle sette. Il ricordo del suo passo è ancora vivo in El Sombrero, Guardatinajas, El Rastro, El Calvario, nella antica Parrocchia di Las Mercedes a Calabozo, e soprattutto qui, in “los Vicarios”, dove è stato fondatore di questa Parrocchia di La Milagrosa (la madonna della medaglia miracolosa…) e di diverse opere sociali, che prolungheranno il suo ricordo nelle venture generazioni. Di tutto quanto Don Dino promosse e portò a termine, dei suoi gaudi e dolori, dei suoi aneliti e progetti noi conosciamo soltanto una parte insignificante. Il Padre del cielo, che vede nel segreto, e che sa quello che hanno significato tutti questi anni di lavoro e di donazione, senza dubbio gli darà una grande ricompensa nelle dimore celesti.
Con Don Dino tramonta un’intera epoca nella storia di questa Chiesa particolare di Calabozo.
Infine, l’Arcivescovo conclude sottolineando come “le esequie di Don Dino coincidono con la memoria liturgica della Madonna di Fatima. La fede semplice del cristiano ci dice che Maria gli è accanto in quel momento supremo, e lo accompagna sulla soglia dell’eternità, così come lo ha accompagnato per tutta la vita”.
Siamo fieri di don Dino, ha testimoniato il suo carattere passionale e il suo amore totale per il vangelo e il popolo di Dio che gli era stato affidato.
Lo ringraziamo e ci raccomandiamo alle sue preghiere, perché il Signore mandi operai alla sua messe. Mandi discepoli missionari, qui e nel mondo intero. E preghiamo per le care popolazioni del Venezuela perché superino questo momento difficile.