Omelia nella festa di Santo Stefano 2020

26/12/2020

Dalle parole del Vangelo di oggi: “Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe”, risuona forte un avvertimento: vi perseguiteranno.

Detto fatto: queste sono le parole ascoltate dagli Atti degli apostoli: “Non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava… erano furibondi”.

E, Stefano risponde: “Ecco, contemplo i cieli aperti…”.

Celebriamo oggi la festa di santo Stefano.

In Italia il 26 dicembre è festivo dal 1947. Motivi d’ordine religioso? Neppure per sogno, anche se tutti lo conoscono come giorno di Santo Stefano. Il motivo del giorno festivo in Italia, non richiesto allora dalla Chiesa cattolica nonostante la fama del santo, è da ricercarsi nell'intento di prolungare la vacanza del Natale, creando due giorni festivi consecutivi. Cosa che accade anche nel caso del Lunedì dell'Angelo, informalmente Pasquetta, festa non religiosa, ma che vuole solo allungare la Pasqua. Prima del 1947 le due giornate erano giorni lavorativi.

Ma la Chiesa va diritta per la sua strada. Festivo o non festivo, santo Stefano si festeggia dopo il Natale. Non fa sconti. Mette il primo frutto della via tracciata da Gesù, la morte di un martire, del primo martire, che assomiglia a Gesù. E ne fa un emblema. Un apripista.

Il ricordo del primo martire non a caso segue immediatamente la solennità del Natale.

Al Natale di Gesù che nasce a Betlemme da Maria, segue il Natale di Stefano, che nasce al cielo dopo aver perdonato i suoi uccisori.

Ieri abbiamo contemplato l’amore misericordioso di Dio, che si è fatto carne per noi.

Oggi vediamo la risposta coerente del discepolo di Gesù, che dà la vita.

Ieri è nato in terra il Salvatore.

Oggi nasce al cielo il suo testimone fedele.

Le tenebre combattono la luce, le tenebre pensano di vincere e spegnere la luce, ma le tenebre non l’hanno vinta.

Neanche di fronte alla morte, le tenebre vincono. Perché la morte non è la vittoria.

Stefano è un cristiano di origine non ebraica, ma greca. Uno straniero per gli ebrei. Uno straniero anche per gli stessi apostoli. I due gruppi hanno dei problemi di convivenza. I cristiani di origine greca si lamentavano perché venivano trascurati i loro poveri. Già allora, qualcuno diceva prima i nostri, dopo gli stranieri. E gli apostoli, per risolvere la situazione, decidono di eleggere sette uomini, onesti e preparati, che servano le mense e curino la testimonianza della carità anche verso questi stranieri.

In realtà, Santo Stefano cura poco le mense. Ma una volta imprigionato, tiene un discorso tra i più lunghi degli Atti (a riprova che sarebbe stato lo Spirito a suggerire le parole). Stefano è considerato patrono dei diaconi; anche se non è formalmente un diacono, ma certo, riceve un incarico che lo annovera tra i diaconi: mettersi a servizio.

Nel documento dei vescovi dell’Emilia-Romagna, a proposito del diaconato, si dice che esso “è un dono, in quanto costituisce il segno sacramentale di Cristo servo e promuove la vocazione a servire, comune a tutto il popolo di Dio. In nome di Cristo, che si è fatto ‘diacono’, cioè il servo di tutti, e con la grazia del suo Spirito, i diaconi servono e sollecitano a servire. Ricordano anche agli altri due gradi dell’ordine sacro – episcopato e presbiterato – che la loro missione è un servizio”.

Ricordatevi, diacono significa servo. E servo è uno che fa quello che serve. E non è una umiliazione. I vescovi e i preti sono servi. Servi della comunità e fanno quello che serve.

Spesso, al servizio, mettiamo troppi se e troppi ma. Dettiamo le condizioni. Apriamo delle trattative.

Oltre a Stefano, vorrei ricordare due altri diaconi. Entrambi permanenti. San Lorenzo, un vero esempio di diacono. A servizio della prima comunità cristiana. Serviva e amministrava i beni della chiesa; un giorno l’imperatore gli chiese di portargli i beni della chiesa ed egli, una volta messi al sicuro i beni, portò con i sé i poveri e disse all’imperatore: “Questi sono i beni della Chiesa”.

C’è un altro diacono, che dovremmo ricordare proprio in questi giorni.

Nel 1223, a Greccio, San Francesco volle che si rendesse visibile anche agli occhi la pagina evangelica della natività. i frati trovarono una grotta, misero una mangiatoia, un asino e un bue. Nella notte giunsero tanti frati e fedeli, che parteciparono alla messa celebrata sulla mangiatoia. Con l’approvazione del Papa Innocenzo III. Tommaso da Celano e s. Bonaventura ricordano che in quella occasione, il Poverello, vestito «da levita» (cioè in dalmatica secondo la raffigurazione giottesca nella Basilica Superiore), proclama il Vangelo e predica al popolo a Greccio.

Ci sono tanti motivi di ispirazione per i nostri diaconi permanenti e per tutti i diaconi che ora sono preti o vescovi, per mettersi a servizio dell’evangelizzazione oggi con lo stesso spirito di Santo Stefano, San Lorenzo e San Francesco: leggendo e vivendo il vangelo, nella liturgia e nella vita, in particolare servendo i più poveri e umili, vicari di Cristo in terra.

Preghiamo in particolare oggi per le vocazioni diaconali e per tutti i cristiani nel mondo che, come Santo Stefano, sono perseguitati perché si lascino guidare dallo spirito e non si preoccupino di come o di che cosa dire, perché, come assicura Gesù: “Sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”.