OMELIA DEL VESCOVO NELLA MESSA DELLA GIORNATA DEI POVERI
19 novembre 2023
Abbiamo letto una parabola che è entrata nel lessico, nel linguaggio di tutti i giorni.
Avere del talento, nel nostro parlare quotidiano, significa possedere qualità particolari, doni da far fruttare, da condividere, su cui investire.
Molto spesso, la parabola viene utilizzata con questo significato. E va bene.
In realtà, tuttavia, la parabola di oggi non considera i talenti come delle capacità innate ricevute da Dio, ma come dei doni che i discepoli devono custodire e vivificare in attesa del ritorno del Signore nella pienezza dei tempi. La parabola è molto chiara, al riguardo: i talenti vengono dati «a ciascuno secondo la sua capacità» (Mt 25,15).
Cosa sono, allora, i talenti?
Ricordiamoci che il Vangelo parla ai discepoli di Gesù, a coloro che sono battezzati e credono in lui. Parla ad adulti nella fede, in attesa del ritorno del Signore e dell'incontro con Lui. Domenica prossima ascolteremo la parabola del giudizio universale.
Cosa fare in questo tempo dell'attesa?
Nel tempo dell'attesa i servi, cioè noi, siamo chiamati a custodire e a far fruttare i talenti, che il Signore ha consegnato: il vangelo, lo Spirito, il potere di curare, consolare, perdonare, riconciliare. Non sono cose da poco, quelle che il Signore ci affida, sono davvero molto preziose!
Penso che ci sia una prima sottolineatura da fare, che vale per tutti. Se il Signore ci ha donato la vita, se ci ha fatto dono di talenti e se ci ha fatto dono del suo vangelo, significa che si fida di noi.
Noi crediamo nell'esistenza di Dio e del suo amore per noi, ma prima della nostra fede in Lui è Lui stesso che si fida e si affida a ciascuno di noi.
È una offesa a Dio dire: io non conto niente, io non valgo niente. È falsa umiltà. Ricordo che il talento era una moneta di 32 kg di oro. Non una cosa da poco. Vuol dire che tutti abbiamo ricevuto quello che basta per vivere. E se qualcuno nasce ed ha bisogno degli altri per vivere, significa che ci sono attorno a lui tantissimi che possono condividere i loro doni.
Come al contrario, anche vantarsi è una offesa: io sono bravo, io sono meglio degli altri... Ti vanti di un dono che hai ricevuto...
Secondo insegnamento. I doni vanno affidati, marciscono se li usi solo per te. Non sono tuoi. I doni sono per essere a loro volta donati. Il crocifisso che noi vediamo o indossiamo è il segno del dono della vita di Gesù per noi, per tutti. E noi dobbiamo cercare di imitarlo. La pigrizia, l'accidia è un vizio capitale, che blocca la vita tua e degli altri.
Un'ultima cosa: il vangelo si sofferma su colui che ha ricevuto un talento (che sappiamo essere tantissimo) e che, per paura del padrone, lo nasconde.
Questo servo rappresenta coloro che hanno paura di Dio. Significa che non conoscono o riconoscono il Dio di Gesù, che è un Dio Padre misericordioso. Credono in Dio, ma non nel Dio di Gesù Cristo. Credono in un Dio che non esiste. Molti credono in un Dio che non esiste o che, per lo meno, non è il Dio di Gesù Cristo. Dio, invece di essere fonte di gioia, di impegno e di solidarietà, diventa un ostacolo, che blocca la vita invece di farla rifiorire. È importante credere nel Dio di Gesù Cristo. Oggi celebriamo la VII Giornata dei poveri, voluta da papa Francesco perché i cristiani guardino ai poveri non come a degli ostacoli, ma come a dei fratelli e delle sorelle da amare. Il tema di quest'anno riprende un passo del profeta Tobia (4,7): «Non distogliere lo sguardo dal povero». Lo sguardo di Dio nei loro confronti è uno sguardo di amore, e per loro manda ciascuno di noi. Papa Francesco così commenta: Insomma, quando siamo davanti a un povero non possiamo voltare lo sguardo altrove, impediremmo a noi stessi di incontrare il volto del Signore Gesù. Perché il povero è sacramento di Dio.
Continua papa Francesco: Viviamo un momento storico che non favorisce l'attenzione verso i più poveri.
Il Libro di Tobia ci insegna la concretezza del nostro agire con e per i poveri.
È uno sguardo perseverante, non saltuario. Non distogliere lo sguardo vuol dire anche non stancarti. Non guardiamo i poveri con fastidio. E lasciamo che i poveri ci guardino. Siamo uno di loro. Un mondo nuovo è possibile, se non li ignoriamo. Ignorare i poveri è ignorare Dio.