Omelia nella Messa della Vita consacrata 2023

03/02/2023

OMELIA NELLA MESSA DELLA GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA
2 febbraio 2023


«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate”
Appena ho letto queste prime parole ho pensato a voi, cari fratelli e sorelle che avete consacrato la vita a Cristo, seguendo la strada dei consigli evangelici.
Il Signore, oggi, manda ciascuno di voi, come messaggeri di Dio a preparare la via dell’incontro con Lui e subito Egli entrerà.
Oggi è la festa della presentazione di Gesù al tempio, Dio che viene incontro al suo popolo. Prende l’iniziativa, portato da Maria e Giuseppe. Maria porta la luce di Cristo, dove la luce ci si aspettava già ci dovesse essere. Accolto dalle braccia di Simeone e di Anna. La festa della luce accolta e donata.
Quaranta giorni dopo Natale, celebriamo colui che ha riempito di luce la nostra vita e ci dona la grazia di donare la luce a chi è nostro contemporaneo.
Se dovessimo definire un cristiano, questa è la nostra immagine: portatori di luce. Al momento del battesimo si accende una candela, e non si spegnerà mai! si spegnerà la nostra luce ma non la luce di Cristo. La luce di Cristo ci è affidata, ma non è la nostra luce!
Cari fratelli e sorelle che avete consacrato la vita, voi ricordate a tutti i cristiani la luce che Cristo è venuto a portare, le parole e la verità della nostra identità rivelataci da Gesù: Voi siete il sale della terra e voi siete la luce del mondo. Noi siamo luce del mondo nella misura in cui lasciamo ardere la sua luce. Per la vostra scelta di vita di totale consacrazione, voi siete, ogni giorno, un punto di riferimento per tante persone. Un punto luce, potremmo dire.
Sostanzialmente vi si chiede di essere quello che sono stati Simeone e Anna: uomini e donne dallo sguardo di chi sa scorgere la presenza di Dio nella quotidianità, di chi sa vedere la luce anche quando altri vedono solo tenebre e lo sguardo di chi sa che la vita non finisce su questa terra.

Il vostro carisma, pur diverso, trasmette lo stesso sguardo di fede. Sia ai credenti che faticano a vedere la presenza di Dio nella loro vita, sia ai non credenti in cerca di senso profondo del vivere. E la cosa più importante che voi offrite, oltre alle attività umane tra le altre, è la luce di Cristo, alimentata dalla contemplazione della sua Parola.
Papa Francesco, ricorda più volte ai religiosi:
«Ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere "decentrati": al centro c'è solo il Signore!» [6].

La vostra scelta di vita comunitaria è di esempio per tutta la comunità cristiana.
Il vostro carisma di vita comune ci incoraggia a non cedere davanti alle tentazioni, così pervasive oggi anche nella chiesa, dell’autoreferenzialità e dell’individualismo.
La vita comune è una continua scuola di fraternità per voi e per tutta la chiesa. La sfida del cammino sinodale è la sfida di una Chiesa che vuole essere quello che desidera per lei il suo fondatore. “Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri”.
A questo proposito, vorrei sottolineare un aspetto della vita comune. Una esemplarità che siete chiamati ad offrire a tutti.
Il Signore ha fondato una nuova famiglia, una nuova fraternità. Ma questa famiglia, questa comunità, è ferita ed è fragile.
Allora io vi dico: Non abbiate paura delle vostre fragilità e delle vostre ferite. Della vostra piccolezza. Non nascondetela. Oltre che impossibile, è contrario alla volontà del Signore. Se il Signore avesse voluto formare una comunità di perfetti, di vincenti, non avrebbe scelto persone normali e persone che non avevano niente di speciale.
Talvolta sono preso dallo scoraggiamento dall’assoluta inadeguatezza di noi uomini di chiesa. Di me come vescovo. Dei preti, dei religiosi e religiose. Degli operatori pastorali. Pochi e di sicuro non perfetti. Dove pensiamo di andare, soprattutto in questi tempi?
Eppure, fin dall’inizio, la comunità degli amici di Gesù era una comunità ferita. Erano rimasti in 11. Uno aveva tradito, altri erano scappati. Altri avevano pensato a trovare posti di prestigio. Natanaele era un sospettoso.
Al momento dell’ascensione, dice il vangelo, molti dubitavano. Sia della risurrezione di Cristo, sia della possibilità di essere in grado di rispondere a questa impresa di andare, niente meno, in tutto il mondo. Già era una impresa annunciare il vangelo a Gerusalemme, in Giudea, in Samaria, e poi in tutto il mondo. Solo dopo 20 secoli, abbiamo potuto dire che questo si è realizzato. E il collegio cardinalizio, composto da uomini di ogni nazionalità, lo prova.
Non nascondete le vostre ferite. Non abbiamo bisogno di comunità che si credono perfette. Perché non lo siamo e il Signore lo sa. Per questo, ogni settimana o al massimo ogni mese, dobbiamo andare a confessarci. Altrimenti, perché lo dovremmo fare? Nella lettera agli ebrei è scritto: Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Se fosse stato così avrebbe ingaggiato angeli e non uomini e donne.
Diceva alcuni giorni fa papa Francesco: Perché la fragilità è, in realtà, la nostra vera ricchezza: noi siamo ricchi in fragilità, tutti; la vera ricchezza, che dobbiamo imparare a rispettare e ad accogliere, perché, quando viene offerta a Dio, ci rende capaci di tenerezza, di misericordia e di amore.”
Ma davanti alle nostre ferite non ci rassegniamo.
Il Signore ci prende per mano e ci accompagna nel cammino di una progressione spirituale.
Anche la prima comunità è partita ferita, ma poi ha saputo crescere, molti suoi membri hanno donato la vita. Pietro è rimasto Pietro. Così Paolo, passionale prima e dopo la conversione. Così com’erano hanno servito il vangelo.
Siete importanti per noi, e vi ringrazio per la vostra presenza e per i tanti servizi ai bambini, ai giovani, alle famiglie, ai malati, alle associazioni e alle parrocchie.
Ma soprattutto, vi ringrazio per la testimonianza della vostra scelta di vita totale e coraggiosa, accogliendo il dono dello Spirito, nei consigli evangelici della povertà, della castità, dell’obbedienza.
Quanto è difficile oggi nella comunità vivere da cristiani l’uso dei beni di questo mondo, vivere la castità come un valore che dà senso alla nostra umanità, vivere la vita comune sapendo gestire conflitti e visioni diverse senza abusare dei più deboli.

In una comunità, le candele rimangono sempre accese. Se a uno si spegne, è pronto un altro a riaccendertela. Ci sia sempre qualcuno o qualcuna accanto a te pronto a ravvivare la fiamma dell’amore di Dio. Basta uno, perché accenda gli altri. A voi chiediamo non la perfezione, ma una fede viva, vitale e vivace. Siete importanti nella nostra comunità. E ciò che conta è la risposta alla chiamata ad essere oggi messaggeri per preparare la via all’incontro con Cristo.
Ringraziamo insieme il Signore!