Quando inizio le celebrazioni pasquali sono preso da diversi sentimenti.
Innanzitutto provo una grande emozione. Non sono riti esteriori, non sono abitati da leggerezza o faciloneria, perché esprimono la ragione della mia vita. Della nostra vita. Passione, morte, risurrezione di Cristo, non sono scene di una rappresentazione teatrale, ma immersione nella vita. Nella mia vita. Non sarei qui se non fosse vero.
Accanto all’emozione resta sempre in agguato il timore. Ho paura di non vivere questo mistero con la profondità che merita.
C’è sempre il rischio che diventi un’abitudine. Pensate, anche l’evento più straordinario come la risurrezione di un uomo come Gesù, può diventare abitudine. Credere che la Pasqua sia un rito che si ripete sempre uguale. Timore di non trasmettere a voi che partecipate a queste celebrazioni la novità perenne e decisiva per la nostra vita della Pasqua di Cristo.
Anche la celebrazione di questa sera ha dell’eccezionale. È accaduto così pure a Gerusalemme.
Ricordiamo una cena, l’ultima cena di Gesù. Che Gesù ha voluto fosse preparata con massima cura, desiderando fortemente che fossero tutti presenti. Tutti, anche Giuda. Una cena che rimarrà nella memoria e che verrà ripetuta ogni giorno milioni di volte.
Così tutti i vangeli riportano il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia e la descrivono con precisione. Questa mattina abbiamo ricordato che con quella istituzione è nato il servizio dei presbiteri che presiedono l’Eucaristia. È nato il sacerdozio cristiano. E tutti i preti oggi hanno rinnovato le loro promesse.
Ma questo racconto così importante non c’è nel vangelo di Giovanni. Il vangelo di Giovanni che abbiamo appena ascoltato non racconta di quando Gesù spezza il pane e benedice il calice del vino e lo distribuisce.
Come è possibile questo silenzio?
Giovanni scrive il vangelo sessant’anni dopo questi fatti, negli anni novanta: nella chiesa ci si ritrova per l'eucaristia ma rischia di diventare un rito: si spezza il pane e si prende il vino dal calice, ma non c'è più un servirsi l'un l'altro nella comunità.
E allora Giovanni sostituisce il racconto dell'istituzione del banchetto eucaristico con il racconto della lavanda dei piedi.
Facendoci cogliere la fortissima affinità nelle stesse parole con le quali Gesù commenta quello che ha fatto.
Possiamo dire che è la sua omelia sulla lavanda dei piedi: Avete capito quello che vi ho fatto? Se io, il signore e il maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi l'un l'altro.
Le parole sono uguali a quando Gesù, negli altri vangeli, commenta la condivisione del pane e del vino: in quella occasione dice e ripetiamo ogni volta: Fate questo in memoria di me. E la stessa cosa dice dopo la lavanda dei piedi: Fate anche voi così, lavatevi i piedi gli uni gli altri.
Non è possibile rimanere indifferenti! Infatti san Pietro, in un primo momento, rifiuta. E la lavanda dei piedi, diversamente dall’Eucaristia che celebriamo ogni giorno, la facciamo una volta all’anno, non tutti i giorni!
Ci chiediamo: perché Gesù ha compiuto questo gesto, e perché san Giovanni l’ha messo al posto dell’istituzione dell’Eucarestia?
Per insegnarci a metterci a servizio gli uni gli altri.
Se fate il banchetto, fate anche la lavanda dei piedi.
E se l’ha fatto Lui, facciamolo anche noi.
Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.
Gesù lo conosciamo come Signore, Cristo, Redentore, Salvatore, Figlio di Dio, Figlio dell'uomo, guaritore, liberatore, profeta, Dio in persona, rivelatore e via dicendo, ma non lo conosciamo come "diacono", cioè come "colui che serve".
Nella preghiera e nella predicazione non diamo a Gesù l'unico titolo che egli si è certamente dato, l'unica funzione che si è sicuramente attribuita, quella di "servo". Io sono in mezzo a voi come uno che serve (Lc 22, 27).
Ecco allora l’importanza del giovedì santo.
C’è prima il pane, poi il vino, alimenti che ci mettono in comunione con il Signore ma poi c’è il grembiule, il servizio reciproco che ci mette in comunione con i fratelli.
Gesù si inginocchia davanti ai fratelli.
Anche davanti a Giuda!
E se lo fa Gesù, chi sei tu per non farlo?
Fra qualche istante, come fece Gesù e a nome suo, mi toglierò le vesti, mi cingerò di un grembiule, penderò un catino e celebrerò il rito del servizio.
Rivivremo le parole di Gesù: Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.
Laverò i piedi di chi se li è già lavati. Ma i piedi degli apostoli erano piedi di chi aveva camminato tutto il giorno. Piedi sporchi veramente. Dobbiamo chinarci sulle miserie degli altri.
Di fronte ai bisogni di chi, oggi, siamo chiamati a chinarci?
Oggi ci sono alcuni fratelli e sorelle profughi, vittime di guerre e povertà. Ci sono coloro che servono la chiesa e i poveri.
Ma a chi il Signore ci chiede di lavare i piedi?
E non solo il giovedì santo!
L’eucaristia, la comunione con il corpo e il sangue di Cristo, apra i nostri occhi per vedere le necessità dei fratelli, apra il nostro cuore a fare nostri i bisogni dei fratelli, a muovere le nostre mani e i nostri piedi per andare loro incontro.
Siamo grati a Gesù che continua ad essere nostro servo, chiediamogli la forza e il coraggio di imitarlo davvero, non solo celebrando l’eucaristia, ma mettendoci a servizio gli uni gli altri, senza pretese.
Come Gesù. Con amore e concretezza.