“Chiediamo questa grazia: di vivere l’anno col desiderio di prendere a cuore gli altri, di prenderci cura degli altri.” Così si augurava Papa Francesco il primo gennaio 2020, e mai avrebbe immaginato (come del resto mai noi tutti avremmo immaginato) la verità di questo augurio.
L’importanza decisiva di vivere con il desiderio di prenderci cura gli uni degli altri. È certo un augurio che rinnoviamo anche quest’ anno. Perché è stata proprio l’attuazione di questo augurio che ci ha salvati. Se non ci fossimo presi cura gli uni gli altri, cosa sarebbe successo? Non è stato forse questo l’ideale profondo che ha animato tutti, i medici, gli infermieri, le forze dell’ordine, i volontari, le famiglie? Non è stato questo anche il motivo stesso del nostro metterci o meno la mascherina? Non è stata certo la pretesa di voler essere liberi di fare quel che si vuole!
Quest’anno Papa Francesco, con grande coerenza, ha così titolato il suo messaggio per la 54^ Giornata mondiale della pace “La cultura della cura come percorso di pace”.
Mi veniva in mente, mentre leggevo il titolo e su di esso riflettevo, il commento del Vangelo che si riferisce a Maria: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
Ma mi veniva in mente anche lo stesso Giuseppe che, ascoltando la volontà del Signore che si rivelava nel sogno, custodiva e proteggeva Gesù e Maria. La cultura della cura esige la perseveranza.
Continua Papa Francesco in questo messaggio: “Questo nuovo anno possa far progredire l’umanità sulla via della fraternità, della giustizia e della pace fra le persone, le comunità, i popoli e gli Stati”.
Cultura della cura per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, oggi prevalente.
Custodire vuol dire coltivare, e il messaggio propone una catechesi, un itinerario di formazione sull’importanza della cura e del custodire nel progetto di Dio per l’umanità, mettendo in luce il rapporto fra l’uomo e la terra e fra i fratelli.
A partire da Dio creatore come modello, che si prende cura delle sue creature, a partire da Adamo ed Eva. E continua a prendersi cura anche quando essi lo tradiscono, gli voltano le spalle. Non desiste dal prendersi cura di essi. E’ Dio stesso la sorgente del prendersi cura.
La vita e il ministero di Gesù incarnano l’apice della rivelazione dell’amore del Padre per l’umanità.
Al culmine della sua missione, Gesù suggella la sua cura per noi offrendosi sulla croce e liberandoci così con la sua morte e il suo sacrificio. E ci dice: “Seguimi. Anche tu fa’ così” (Lc. 10,37).
Fin dagli inizi, la Chiesa ha seguito il suo Maestro.
Il Papa ricorda come la cultura della cura sia stata presente nella vita dei seguaci di Gesù.
Le opere di misericordia spirituale e corporale sono state il nucleo del servizio della carità della Chiesa primitiva. La condivisione faceva parte della pratica fin dalla prima generazione della comunità cristiana. Pratica e grammatica.
La diakonia delle origini è diventata il cuore pulsante della dottrina sociale della Chiesa, offrendosi a tutte le persone di buona volontà come un prezioso patrimonio di principi, criteri e indicazioni, da cui attingere la “grammatica” della cura: la promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà con i poveri e gli indifesi, la sollecitudine per il bene comune, la salvaguardia del creato.
Quali sono le regole dalla grammatica della cura?
Prima regola: condivisione.
Ma perché dobbiamo condividere? Perché siamo fratelli! E perché siamo fratelli? Perché siamo figli dello stesso Padre.
Seconda regola: i poveri al centro, i fratelli più deboli
Vicari di Cristo in terra, come chiamano i poveri, i Padri della Chiesa e il Vangelo (Mt. 25): “Ogni volta che avete dato da mangiare ai miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me”. Ignorare i poveri è ignorare Cristo. I poveri non sono come i panettoni o il cibo per Natale che si toglie dalle scansie dopo l’Epifania. Anche in questa pandemia, i poveri non siano dimenticati, vicini o lontani. Anche nella somministrazione dei vaccini.
Terza regola: la cura del bene comune. Nessuno si salva da solo.
La cultura della cura e della carità non è delegabile a nessuno. Abbiamo visto quanto siano stati importanti in questi mesi i comportamenti individuali nel bene e nel male, avevano un riflesso quasi immediato sull’andamento generale della pandemia. E abbiamo visto quanto siano stati importanti coloro che, lì dove erano, svolgevano bene e fino in fondo il loro lavoro.
Quarta regola: la solidarietà
La solidarietà è “una determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”.
Quinta regola: la promozione della dignità e dei diritti della persona.
No all’individualismo, all’indifferenza, al faccio quello che voglio. Il concetto di persona, nato e maturato nel cristianesimo, aiuta a perseguire uno sviluppo pienamente umano.
Sesta regola: la salvaguardia del creato.
Una regola che è pienamente spiegata in tutta l’Enciclica Laudato si’.
Settima regola: educare alla cultura della cura.
Necessità di un processo educativo: in famiglia, nelle scuole, nelle religioni, nelle organizzazioni internazionali. L’augurio è che il patto educativo globale possa trovare ampia e variegata adesione.
La cultura della cura, quale impegno comune, solidale e partecipativo per proteggere e promuovere la dignità e il bene di tutti, è la via che ci porta alla pace.
Se vuoi la pace (sociale) prenditi cura degli altri, prendiamoci cura gli uni degli altri!
Maria Madre della speranza, in questo tempo di crisi mondiale aiutaci a seguire la bussola dei principi sociali fondamentali che ci permettano di uscire tutti insieme da questa tempesta.
Non è più il tempo di agire da soli, nella Chiesa e nella società. Non più il tempo di scelte egoistiche, nemiche della comune convivenza (evasioni fiscali, speculazioni, arricchimento personale a prezzo del bene comune, inquinamento…). Concludo con papa Francesco: “Impegniamoci ogni giorno concretamente a formare una comunità composta da fratelli (e sorelle) che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri”.