Il lebbroso che incontra Gesù, come tutti i lebbrosi del suo tempo, era schiacciato da tanti problemi.
Aveva un male incurabile, la sua malattia era considerata un castigo di Dio, era costretto a tagliare tutti i contatti familiari e amicali, era un escluso dalla società. Era vivo, ma era come se fosse già morto.
La lebbra non è stata sconfitta, nel mondo ci sono ancora milioni di lebbrosi, eppure le cure ci sarebbero e non costerebbero tanto. Quest’uomo, immaginate con quale attese, rompendo le rigide norme sanitarie che lo costringevano a stare lontano dalla gente, si butta ai piedi di Gesù e chiede di essere guarito.
Solo Dio e il suo Messia potevano guarire.
Questo è il fatto. E sorprende la reazione di Gesù: non lo manda via, ma gli si avvicina, lo tocca e lo guarisce.
Il vangelo commenta che Gesù provò compassione del lebbroso. Compassione, soffro con, è un sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui desiderando di alleviarla.
Non dimentichiamo la compassione di san Francesco. La svolta della sua vita avviene dopo l’incontro con un lebbroso. Nel suo caso non lo guarisce. È il lebbroso che guarisce san Francesco.
Abbracciando il lebbroso san Francesco ci indica di accogliere coloro che soffrono qualsiasi genere di emarginazione. Dice papa Francesco che sul “vangelo degli emarginati, si gioca e si scopre e si rivela la nostra credibilità!”.
Un passaggio di papa Francesco mi ha colpito, quando dice che da sempre i cristiani e la Chiesa sono attraversati da “due logiche di pensiero e di fede: la paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti.
La logica dei dottori della legge, che è quella di emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio. Queste due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare”.
Ma il racconto del vangelo non finisce lì. Subito dopo aver esaudito e guarito la persona, Gesù sembra quasi cambiare di aspetto e con durezza, dice il vangelo, “ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno…»”.
Da dove viene questa reazione? Perché Gesù ordina di non dire niente a nessuno, ma di andare dai sacerdoti e mostrare i segni della guarigione? E, tra l’altro, come avrebbe potuto costui andare dal sacerdote senza dire niente?
La spiegazione c’è, l’abbiamo ascoltata subito dopo. L’oramai ex-lebbroso, dice il vangelo, “si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti…”.
C’è un cambio della situazione. Mentre prima il lebbroso doveva stare lontano dalla gente, adesso è Gesù che quasi prende il suo posto, e deve stare isolato perché tutti lo cercano.
Questo gli impedisce di predicare, di annunciare il vangelo; anche domenica scorsa, abbiamo sentito che dopo aver guarito la suocera di Pietro, la processione di malati non finiva più.
Gesù non poteva andare fra la gente, ma era la gente che andava da lui da ogni parte.
Il vangelo non va solo proclamato a parole, ma va vissuto e testimoniato. Il segreto è la compassione.
Questo verbo lo troviamo nella parabola del buon Samaritano, e anche in tante altre occasioni della vita di Gesù.
Lo abbiamo visto pure noi in questi mesi, quanto sia importante provare compassione gli uni per gli altri.
Questo seme del vangelo è stato seminato da secoli nelle nostre case, nelle nostre famiglie, in Italia e nella nostra Europa.
2.L’amore degli innamorati.
Ma l’amore per chi soffre, è malato, messo ai margini, che il vangelo chiama compassione, si esprime sotto altre forme e destinatari, negli innamorati.
Oggi la chiesa fa memoria di san Valentino, patrono degli innamorati. San Valentino era un vescovo che regalando una rosa ha aiutato a fare pace due innamorati, benedicendo in seguito le loro nozze e portando in regalo una dote. L’amore di coppia sempre si rinnova, nel dono di sé, nel rispetto e nella gentilezza.
3.L’amore universale
Ma c’è anche un amore di un altro genere. È l’amore della fraternità universale. Ce lo hanno ricordato in questi mesi la Fratelli tutti e la prima giornata mondiale della fratellanza universale. Oggi la chiesa celebra i santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa. All’inizio, nel 1964, Paolo VI aveva proposto solo san Benedetto da Norcia come patrono d’Europa. La fondazione di comunità monastiche furono le premesse per una nuova civiltà, fondata sulla centralità della persona umana, sulla vita comunitaria e la fraternità, sulla dignità del lavoro. I monasteri furono un faro della cultura.
Papa Giovanni Paolo II, nel 1980, indicò come patroni d’Europa anche il monaco Cirillo e il vescovo Metodio, pionieri dell’evangelizzazione del mondo slavo e dell’Europa orientale.
Nel 1999, sempre Giovanni Paolo II, accanto a questi tre uomini, proclamò tre donne patrone d’Europa: santa Caterina da Siena, santa Brigida di Svezia, santa Benedetta della Croce (al secolo Edith Stein, monaca Carmelitana morta nel campo di concentramento di Aushwitz). La scelta è caduta su queste tre sante che simboleggiano tre aspetti dell’unità dell’Europa: la la pace, famiglia e la contemplazione.
Un amore più ampio dei due precedenti. Un amore universale. Ma l’amore di Dio, il primo innamorato dell’uomo, alimenta tutto:
- l’amore degli innamorati, un amore profondo e fecondo ed eterno, da custodire;
- l’amore verso il povero, che ha bisogno della tua compassione;
- l’amore per la famiglia umana, che ha bisogno di pace e di fraternità.
Tutti riceviamo l’amore e tutti siamo chiamati a donarlo con responsabilità oggi e sempre, soprattutto in questo tempo. Preghiamo per gli innamorati, per i malati, per l’Italia, l’Europa e il mondo intero. Sempre, ma ancor più la pandemia hanno dimostrato che nessuno può farcela da solo.
Preghiamo affinché tutti i popoli e i governanti europei affrontino uniti le sfide del futuro, senza dimenticare i poveri dentro e fuori dei confini europei.