Omelia per l'Ordinazione presbiterale di don Massimo Tumini 2018

22/06/2018

Omelia dell’Ordinazione presbiterale di don Massimo Tumini (sabato 22 settembre 2018)


Carissimo don Massimo, lo sai, sono proprio contento oggi, per questa ordinazione. Non solo perché è la mia prima volta che impongo le mani per l’ordinazione presbiterale come vescovo di Forlì-Bertinoro (e con me non nasconde la sua gioia anche il vescovo Lino, che ringrazio per la sua presenza), non solo perché oggi sono 5 mesi esatti dal mio ingresso in diocesi, ma sono soprattutto contento per quello che sei e per ciò che può significare il tuo servizio nella nostra chiesa diocesana.
Nella lettura tratta dal libro del profeta Geremia abbiamo riascoltato una verità profonda, che ha segnato la tua vita: Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto.
Il Signore ti ha scelto fin dall’inizio! Anche quando sembrava tu fossi più lontano, il Signore continuava a mandarti segnali di chiamata. E tu, finalmente, hai risposto di sì e oggi, noi tutti, siamo accanto a te, per riconoscere la presenza del Signore nella tua e nella vita di ciascuno di noi. Di fronte alle difficoltà della vita, ancora ascoltando il profeta Geremia, ti diciamo: “Non aver paura, perché il Signore è con te per proteggerti”.
Lo sappiamo, i veri pericoli e le vere minaccia alla nostra felicità e alle nostre scelte sono dentro di noi, nelle nostre incertezze, nelle nostre cadute. Ma il Signore ci rassicura e ripeta a noi quello che ha detto a suo Figlio: “Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato”. Siamo figli nel Figlio, per sempre. Non aver paura Massimo, il Signore è sempre con te!

La tua gioia e la tua disponibilità mi permettono di chiederti alcune cose.
Ti chiedo intanto, come prima cosa, di continuare ad essere quello che sei. Se il Signore ti ha chiamato, non è che ti voglia diverso da quello che sei. La tua pacatezza e la tua determinazione, l’amore per la preghiera e per i poveri sono e saranno sempre la caratteristica della tua vita.
Ti chiedo soprattutto ciò che il Papa ha chiesto anche a noi vescovi, e che chiede sempre ai preti: siate santi! L’ordinazione è una chiamata alla santità e la chiamata alla santità è la chiamata all’amore del Signore.
Come Gesù lo ha chiesto a Pietro, ora lo chiede anche a te: “Massimo, mi vuoi bene?”. E tu, come lui, se sei qui, hai già risposto: “Certo Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”.
E, dunque, se vuoi bene al Signore, ascoltalo.
Non sempre è così facile ascoltare e poi mettere in pratica la Parola del Signore: occorre avere orecchio e occorre anche saper discernere fra i tanti messaggi e voci che ti arrivano, ma certamente la prima cosa che ti si chiede è di ascoltare il Signore, di aprire il vangelo e tutte le sacre scritture e di mettersi in atteggiamento, vero, di ascolto.
L’ascolto, tuttavia, non è una operazione solitaria, quasi che non esistessero altre persone che si aprono allo Spirito del Signore.
 
Ascolta allora il Signore insieme alla comunità, nella celebrazione eucaristica, nella messa festiva in particolare. Ti costerà fatica, ma non dimenticare di commentare le letture, brevemente, ogni volta che la celebri. Le letture del giorno saranno così la tua prima occupazione della giornata, per poter essere preparato al momento della messa.

La seconda cosa che ti chiedo è la preghiera. Lo fai già, è la preghiera della chiesa che loda il Signore ad ogni ora del giorno. Anche in questo caso, cerca di pregarla insieme ad altri, ai tuoi confratelli e ai laici disponibili.

Terza cosa è di essere un pastore, di stare con il popolo di Dio, di ascoltarlo, di amarlo. Chi non sa ascoltare il fratello, non sa neppure ascoltare Dio. Papa Francesco ripete spesso che accompagnare è la chiave di volta del pastore oggi. E questo significa stare con il popolo di Dio, non soltanto fare delle cose.

Ti chiedo di amare la chiesa. Anche quando la chiesa, in alcuni suoi rappresentanti, può essere scandalosamente peccatrice. Ama la chiesa, è tua madre. E tu, da ora, rappresenterai il buon pastore. Perché l’unico e vero pastore del popolo di Dio è Gesù, noi siamo i suoi vicari.
Non ti chiedo solo di servire la chiesa, ma di amarla.

Quarta cosa, ti chiedo di dare del tempo al popolo che il Signore ti affida. Di dare tutto il tuo tempo.
La tua è una missione, non è un lavoro di un funzionario. È una missione che ti prende tutto. Senza misura. Ma è dando tutto che riceverai tanto. Se dai poco, riceverai anche poco.

Quinta cosa che ti chiedo è di continuare ad amare i poveri. Non è così scontato oggi, amare i poveri.
E, come dice don Milani, i poveri hanno diritto di parola nella nostra chiesa e nella nostra società.
Sappiamo quanto sono stati importanti per te don Milani e don Oreste…

Un ulteriore cosa che mi sento di dirti è ciò che Papa Francesco, a Palermo, parlando ai preti, ha ricordato a tutti: il prete è l’uomo del dono del perdono.
È uomo del dono quando pronuncia le parole dell’Istituzione: «Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». Queste sono parole che non devono restare sull’altare, ma che vanno calate nella vita: sono il nostro programma di vita quotidiano. Non dobbiamo solo dirle in persona Christi, dobbiamo viverle in prima persona. Testimoniarle.
C’è poi una seconda formula sacramentale fondamentale nella vita del sacerdote: «Io ti assolvo dai tuoi peccati». Qui c’è la gioia di donare il perdono di Dio. E qui il prete, uomo del dono, si scopre  anche uomo del perdono. Tutti noi cristiani dobbiamo essere uomini e donne di perdono, i preti in un modo speciale nel sacramento della Riconciliazione. Il prete non porta rancori, non fa pesare quel che non ha ricevuto, non rende  male  per male.  Il sacerdote  è portatore della pace di Gesù: benevolo, misericordioso, capace di perdonare gli altri come Dio li perdona per mezzo suo (Ef
 
4,32). Porta concordia dove c’è divisione, armonia dove c’è litigio, serenità dove c’è animosità.
Il prete è ministro di riconciliazione a tempo pieno: amministra «il perdono e la pace» non solo in confessionale, ma ovunque. Chiediamo a Dio di essere portatori sani di Vangelo, capaci di perdonare di cuore, di amare i nemici.

Carissimo don Massimo, siamo qui in tanti a pregare per te. Quando sono diventato vescovo, tanti hanno pregato e continuano a pregare per me. Ho sentito e sento la forza della preghiera. Sono qui in particolare anche le nostre monache clarisse dei monasteri di santa Chiara, del Corpus Domini e le Agostiniane di Forlinpopoli. Tutte e tutti pregano per te.
Ti affido alla tua mamma e alla mamma di Gesù: ne hai due in cielo. E, dal cielo, ti seguiranno nel tuo ministero sacerdotale.

Cari fedeli, tutti noi, in questo momento di grande gioia, sull’esempio di don Massimo, mettiamoci a servizio gli uni gli altri, perché il Signore ci aiuti a costruire una comunità fraterna capace di rendere visibile il vangelo.

Voglio infine concludere con le parole di don Pino Puglisi, ben disse una volta: «A chi è disorientato il testimone della speranza indica non cos’è la speranza, ma chi è la speranza. La speranza è Cristo, e si indica logicamente attraverso una propria vita orientata verso Cristo» (Discorso al Convegno del movimento “Presenza del Vangelo”, 1991). Non con le parole, ma con la vita. Il Signore sia sempre con Te, Massimo. Il Signore è con tutti noi, ora e sempre. Amen.


Al termine della messa:
Qual è il popolo che il Signore ti affida? Dopo aver condiviso l’esperienza di alcune belle comunità, ultima quella del Ronco, santa Rita e Selva, abbiamo pensato, insieme con i miei collaboratori, di inserirti nell’unità pastorale di Cava, Villanova, Villagrappa e Castiglione. Ti darà modo di conoscere un’altra realtà viva, di inserirti in una bella fraternità sacerdotale, di esperimentare la vita di una unità pastorale.