Nel lungo pellegrinaggio del popolo ebraico, dalla schiavitù alla liberazione, attraverso Mosè, Dio stipula un’alleanza nel deserto del Sinai. Mosè sparge il sangue dell’Alleanza, sangue che rappresenta la vita, la stessa vita che d’ora in poi congiungerà il popolo al suo Dio.
Dio dona la vita e il popolo si impegna a fare la sua volontà. E la promessa del popolo di Israele avviene attraverso questa formula: tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!
Nella lunga storia del popolo d’Israele, questa promessa non sarà sempre mantenuta; anzi, nella relazione fra il popolo e Dio sono numerose le vicende di infedeltà da parte del popolo e di continua e instancabile misericordia da parte di Dio. Dio, infatti, non si stanca mai del suo popolo e anzi, ad un certo punto, dopo che il popolo per l’ennesima volta si è allontanato da Lui, manda il suo Figlio per salvare il popolo dalle sue stesse colpe.
Gesù sarà il mediatore di una alleanza nuova. Un nuovo patto fra Dio e il suo popolo.
Cari fratelli e sorelle, ci siamo ritrovati insieme qui per rinnovare la nostra alleanza con Dio.
La festa del Corpus Domini è collegata strettamente alla messa del giovedì santo, la giornata della prima eucaristia.
Ogni volta, infatti, che celebriamo l’eucaristia, noi rinnoviamo questo patto d’amore. In realtà è il Signore che lo rinnova e noi, ancora una volta, godiamo con gioia di questa rinnovata alleanza.
Il Signore rinnova la sua alleanza con noi e noi la rinnoviamo con lui. Siamo qui, anche questa sera, spinti dal desiderio di rinnovare il patto di essere un cuor solo e un’anima sola.
O Padre, che ci nutri con il Corpo e il Sangue del tuo Figlio,
guidaci con il tuo Spirito,
perché, confessandoti non solo a parole e con la lingua,
ma con i fatti e nella verità,
possiamo entrare nel regno dei cieli.
Cosa comporta questa alleanza?
Nella messa in Coena Domini, si legge sempre il racconto della lavanda dei piedi dell’evangelista Giovanni; oggi, invece, abbiamo ascoltato il racconto della cena secondo il vangelo di Marco. L’ultima cena, che prepara già e anticipa la grande festa della Pasqua. Pasqua di liberazione e di rinascita. Liberazione dal male e dal peccato e rinascita per la vita e per la vita eterna.
La cena avviene in straordinaria semplicità, spezzare il pane e bere il frutto della vite.
Cari fratelli e sorelle, spezzare lo stesso pane che è il corpo di Cristo e bere lo stesso vino che è il sangue di Cristo, significa condividere la stessa vita di Dio.
Noi ci impegniamo (e proprio questa sera rinnoviamo questo impegno) a condividere la nostra vita con Dio, a seguire il suo Vangelo. Il vangelo è la nostra bussola e lo Spirito santo è la nostra guida.
Ci impegniamo a condividere la nostra vita con i fratelli e le sorelle. Lo sottolineo e lo ripeto con forza, ci impegniamo a condividere, non a pensare solo a noi stessi.
Il sangue di Cristo scorre nelle nostre vene. Siamo un corpo solo.
Ecco perché non possiamo non condividere! Siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, che, nel Figlio suo ha condiviso la sua vita con noi.
Noi ci impegniamo a vivere nella fraternità, ogni giorno. Sia che siamo insieme, sia che siamo da soli. Perché siamo un corpo solo.
Spesso tendiamo a dimenticare che, subito dopo la consacrazione del pane e del vino, il sacerdote pronuncia queste parole:
“A noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito”.
Nel cammino sinodale che abbiamo iniziato ufficialmente durante l’assemblea dei vescovi la settimana scorsa, abbiamo condiviso tre punti fondamentali e indivisibili: vangelo, fraternità e mondo come ambito della nostra missione.
Il vangelo è la nostra bussola; la fraternità diventa la nostra testimonianza e l’attuazione del vangelo qui e ora, e nel mondo. Il Vangelo e la carità concreta sono doni del Signore per tutti. Il mondo è il nostro confine e scopo del nostro esistere.
Anche quest’anno non ci è possibile, per prudenza e senso di responsabilità, metterci in processione. E la processione del Corpus Domini ci manca. Ma se non possiamo fare questa grande processione, le piccole processioni non ci sono proibite. Le piccole e quotidiane processioni che ci portano, dopo aver riconosciuto Gesù allo spezzare il pane, ad andare di corsa verso i fratelli (in famiglia, della porta accanto…) a testimoniare la gioia dell’incontro. Il volto di chi lascia la chiesa dopo la messa è importante, dà la misura della nostra fede e della nostra gioia di essere credenti e credibili.
Il Signore ci dà sempre la gioia di partecipare alle piccole o grandi processioni del Corpus Domini.
Chiesa di Dio che sei a Forlì, in questo tempo di pandemia, rinnova la gratitudine al Signore per averti donato la forza di affrontare e vincere questa prova.
Medici e medicine sono stati strumenti della Provvidenza del Signore. Come sono stati doni del Signore i tanti servitori dello stato, cittadini e cittadine e i tanti volontari che hanno reso meno solitaria e spaventata la vita di molti, anziani o giovani, di coloro che avevano bisogno, per vivere, degli altri.
Grazie, Signore! E vogliamo qui, di fronte a tutti, noi fedeli discepoli del VANGELO di Gesù, rinnovare il patto con il Signore di continuare ad essere un corpo solo e un’anima sola, per non lasciare in disparte nessuno. Noi per primi non vogliamo discriminare nessuno, servendo la verità nella carità.
Il mondo si aspetta da noi unità e comunione.
Non smentiamo il corpo di Cristo. Il mondo ha bisogno di unità, di pace e di fraternità. Non rendiamo vana la sua Parola e il suo Pane. Ci dividiamo anche soltanto abbandonando la comunione e la fraternità ecclesiale. Il banchetto eucaristico è costruttore di futuro, per noi e per tutti.
In questi giorni, la speranza di una rinascita si fa sempre più forte. Le attese sono tante. Il desiderio di mettersi alle spalle tante angosce è intenso.
Sono speranza e attese che condividiamo e che hanno bisogno di essere sostenute dalla volontà del Signore.
Speranze condivise, speranze che durano. Speranze che durano per l’eternità. Anche noi, oggi, come Dante 700 anni fa, confessiamo “la fede che come favilla che si dilata in fiamme poi vivace, e come stella in cielo me scintilla” (Par. XXIV, 145-147). Sia vivace, gioiosa e operosa anche la nostra fede.