«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.”
Carissimi tutti, mi rivolgo ai presenti e in particolare a voi che siete collegati con Radio Maria questo pomeriggio per seguire la santa messa celebrata nella Pieve di sant’Andrea di Dovadola.
Oggi, per la chiesa di Forlì – Bertinoro è un giorno di festa; a Dovadola, proprio qui in questa chiesa, dal 22.3.1969 riposa il corpo di Benedetta Bianchi Porro. Una ragazza nata a Dovadola e trasferitasi poi con la famiglia, nel 1952 quando aveva 16 anni, a Sirmione sulle rive del lago di Garda.
A Sirmione Benedetta è morta, tra il dolore dei suoi familiari e allo stesso tempo tra lo stupore per la sua serenità e pace interiore.
Non aveva niente umanamente per cui gioire. Di lei, tra le altre cose, ci sono rimaste alcune lettere, che descrivono la storia e i progressi di un’anima che non si è arresa davanti alla malattia e alla morte. Davide Maria Turoldo, tra i primi a scrivere su di lei e a curare la pubblicazione di alcune sue lettere, descrisse così la sua condizione: “È bene che si sappia come sono stati composti questi documenti. Benedetta è stata preda di una legione di mali. Perderà adagio adagio l’udito, fino alla sordità completa, poi perderà l’uso delle gambe, sempre adagio. E in perfetta conoscenza, cioè sapendo che non c’è rimedio. Poi sarà la volta della vista, fino alla completa cecità; poi scomparirà la facoltà dell’odorato; poi il tatto; poi il gusto. E le saranno strappati tutti i denti. Alla fine non avrà più stimoli; persa ogni capacità sensitiva. Tutte vie di accesso saranno ostruite, eccetto, una. Benedetta sarà come un castello isolato e inaccessibile agli altri, perfino ai suoi. Almeno in un primo tempo. Una creatura fasciata dalla notte… eccetto che un punto: una mano! Una sola mano è rimasta miracolosamente veicolo di sensibilità. E quel poco di voce che non si spegnerà fino alla morte. E la mente sempre presente e lucida.”
Una descrizione che toglie il fiato. E da quel castello assediato continuava a resistere. E a vivere una sua vita. Anzi, si vedeva che il volto di Benedetta continuava a splendere, a emanare gioia e luce; sempre più gioia e luce, man mano che la notte si infittiva intorno a lei.
Leggete le sue lettere, imparate a conoscerla; le sue parole, il suo esempio, la sua forza aiuteranno anche voi a trovare la forza per lottare e resistere, in tante occasioni e circostanze della vita e pure in questo tempo. È una pagina di vangelo vivente.
Vorrei sottolineare ancora due lezioni importanti, che ci aiutano a cogliere l’essenziale, quello che veramente conta.
Benedetta, in quelle condizioni, comunicava. Con lettere, accogliendo visite di amici. Era circondata da amici. Amici veri, che non andavano da lei solo per carità cristiana.
Il suo letto era diventato una cattedra di vita. Di una vita vera, intensa, piena d’amore, significativa. Non si andava da lei per farle compagnia o per tirarla su. Si andava da lei per raccogliere nuova iniezione di vita, di coraggio.
Cari ammalati che mi ascoltate, prego perché sappiate trasformare il vostro dolore, la vostra sofferenza, in lezione di vita.
Abbiamo bisogno di voi, esperti in umanità.
Infine, Benedetta parla spesso della morte come “incontro”; parla dell’attesa dello Sposo; dice di voler conservare quel filo di voce che le era rimasto per poter rispondere “presente” all’appello.
Commenta ancora così Davide Maria Turoldo: “La morte per amore, la morte come sacrificio accettato per amore, anzi, la morte come obbedienza credo sia il grande segreto di Benedetta. Perciò la sua morte non è in contrasto con la vita. In nessuna lettera si legge una sola parola di disprezzo o condanna della vita; non v’è neppure un’eco di disprezzo verso le cose; tanto meno di impazienza e di rivolta contro la sua oggettiva e sacrale condizione.”
Cari fratelli e sorelle, siamo consapevoli, noi di Dovadola e di tutte le chiese di Forlì- Bertinoro, di custodire un tesoro prezioso nella testimonianza di vita di Benedetta. Un tesoro che non possiamo e non vogliamo tenere soltanto per noi.
Siamo grati a Radio Maria, che anche quest’anno ha voluto dare voce a Benedetta.
È una voce umanamente flebile ma potente e che ci parla in modo ancora più forte in questi tempi.
La giovane Benedetta continua a darci la sua testimonianza di determinazione: non si è arresa, ha amato la vita fino alla fine, preparandosi all’incontro con il Signore che ha amato nella gioia e nella pienezza di vita.
E la sua lezione di vita continua ancora, come abbiamo sentito questa mattina dalla voce del card. Franco Montenegro, che ci ha riportato la sua testimonianza di malato di Covid che ha trovato in Benedetta forza e coraggio per lottare per la vita.
Vorremmo raccogliere anche le testimonianze di voi che mi ascoltate e che avete trovato aiuto invocando Benedetta. Fatecelo sapere, può essere utile anche ad altri.
Ringraziamo il Signore per il grande dono di beata Benedetta e preghiamo perché impariamo a riconoscere tutto ciò che a nostra volta abbiamo ricevuto, per vivere là dove siamo una vita intensa e ricca d’amore, per Dio e per i fratelli.