Orientamenti pastorali per l'anno 2023-2024

23/10/2023

ORIENTAMENTI PASTORALI PER IL NUOVO ANNO 2023-2024

Il coraggio di camminare insieme

“Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32)

Cattedrale di Forlì - 23 ottobre 2023



Cari fratelli e sorelle, ringraziamo il Signore per questo nuovo anno. Nonostante tutto siamo aperti alla speranza. Sono tante, troppe, le emergenze che ci coinvolgono.

Il brano del vangelo di quest’anno, che ci guiderà nel nostro cammino pastorale, ci ricorda che i due discepoli si diressero verso Emmaus con tanta stanchezza e delusione, accompagnati da un unico pensiero: “Anche Gesù ha fallito!” Tenebre e nebbia, fatica e sconforto, preoccupazione e smarrimento, avvolgono anche noi oggi. Da anni incombono su tutta l’umanità molteplici problemi e pericoli o incognite: crisi climatiche, crisi economiche, guerre e conflitti sempre più atroci, in Europa e nella stessa Terra Santa. Non dimentichiamo le incertezze più intime nelle quali sono finiti tanti nostri fratelli e sorelle. Ci sono coloro che faticano a trovare nel Dio di Gesù Cristo il senso della loro vita e l’alleato della loro gioia, e hanno per questo lasciato la nostra comunità.

La tentazione di avvilirci è forte. A cosa allora affidiamo la nostra speranza? Nel fatto che, come allora, anche oggi Gesù riaccende la speranza nel nostro cuore, camminando con noi! Si mette accanto a ciascuno di noi, come con i due discepoli di Emmaus.



Gesù cammina con i discepoli e riaccende la vita

Il primo passo lo compie il Signore: si avvicina ai due e cammina con loro. Prende sul serio i loro dubbi e il loro scoraggiamento. Nonostante il clamore suscitato dalle donne che dicono di aver visto Cristo risorto, i due se ne erano tornati a casa. Per Cleofa e l’altro discepolo, le apostole degli apostoli non erano state convincenti (ci sarà stato qualche pregiudizio sessista?); non avevano creduto neanche a Pietro e Giovanni (sì, la tomba era vuota, ma Lui non l’avevano visto). La questione per loro era finita! L’esperienza con Gesù è una cosa del passato: noi speravamo. E se ne ritornano a casa per riprendere, in qualche modo, la vita di prima e girare pagina.

Quanti sono i nostri fratelli e le nostre sorelle che hanno messo la fede in un cassetto! Belle esperienze, bellissimi ricordi d’infanzia ma, davanti alla complessità della vita, hanno chiuso. Si sono dedicati ad altre priorità, a cose più concrete e immediate. Ci hanno sofferto, manifestano qualche dispiacere, o qualche risentimento, ma non credono più. Mi ha colpito l’intervista di un famosissimo conduttore televisivo, il quale a precisa domanda risponde: io non credo, non credo in Dio, ma ogni sera e ogni mattina dico le preghiere che mi hanno insegnato da piccolo. In questo modo mi metto in contatto con le persone che mi hanno voluto bene e che non ci sono più. Non crede, ma prega. Ho colto in questa voce il dramma di tanti nostri fratelli e sorelle (battezzati, cresimati, comunicati) che non credono, ma sentono il vuoto, vivono come un grido interiore la nostalgia della fede che avevano. Riversano le loro delusioni sulla Chiesa, sono orfani della fede in Dio, la ferita è ancora aperta. A questa folla dovremmo pensare (la messe è molta, direbbe Gesù), per cercare di riaccendere in essa la fiamma della fede! Molti, se aiutati, ritornano a pensare e ad interrogarsi.

Gesù, Lui sì, c’è riuscito con i due di Emmaus: “Non ci ardeva il cuore mentre conversava con noi?”. I cuori erano spenti, la Parola di Gesù li riaccende.

Camminando con loro, potremmo dire che Gesù “celebra una messa itinerante”, iniziata con il riferimento alla croce (non bisognava che soffrisse?) e continuata rileggendo la storia che era terminata così tragicamente con un altro sguardo. Dovremmo interrogarci sull’importanza dell’eucaristia come carta d’identità dei cristiani, come esperienza attrattiva e non respingente.



Soffermiamoci un momento su questo punto. Cosa accende il cuore? L’ascolto della Parola, e la comprensione del senso di un itinerario: quello personale di Gesù e quello dei discepoli alla sua sequela. “La fede nasce dall’ascolto”. La proposta di lasciare che il Signore parli al nostro cuore è decisiva per la nostra fede. E si tratta di ascoltare insieme. Ogni adulto nella fede, se vuole essere adulto nella fede, se vuole trovare luce e gioia nella vita, si metta con fiducia, insieme con altri fratelli e sorelle, in ascolto della Parola, e nella ricerca del senso del proprio itinerario di vita.

Concretamente: i gruppi del Vangelo non sono l’unico modo di ascolto della Parola ma sono la modalità privilegiata che suggeriamo in questo momento. Ovviamente ogni occasione di ascolto e di approfondimento della Parola è vitale c’è ancora molto da fare su questo nelle nostre parrocchie. È lì che si riaccende di senso la vita. Compito della Chiesa è essere segno vivente del Vangelo. Ci ricorda il Concilio che: “Essendo Cristo la luce delle genti, la Chiesa ardentemente desidera con la luce di Lui, splendente sul volto della Chiesa, illuminare tutti gli uomini annunziando il Vangelo ad ogni creatura” (LG1). Ma se prima non brilla nei nostri volti, come possiamo pensare di illuminare il mondo della luce di Cristo?

I gruppi sinodali, che aiutano a metterci in ascolto dello Spirito che parla alla sua Chiesa, sono una ulteriore modalità per entrare in sintonia con il Vangelo e confrontarlo con la vita di oggi.



La cena

Ad un certo punto, terminata la lunga omelia, i due discepoli pregano Gesù di restare con loro. Sono le prime preghiere dei fedeli: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera”. Pensavano a Lui, ma in realtà cercavano di trattenere ancora Gesù che li aveva illuminati e aveva riacceso in loro la speranza, da scoraggiati quali erano.

Cari fratelli e sorelle, siamo noi oggi, sulla strada verso Emmaus, con le stesse delusioni, tristezze e oscurità. Il Vangelo ci indica la strada. Non riusciremo a fare nessuna scelta, se non dopo aver riconosciuto e condiviso le delusioni ed esserci lasciati riaccendere il desiderio di vita dal nostro Maestro! Solo Lui sa cambiare le nostre tristezze e delusioni in nuove speranze e coraggio di ripartire, insieme.

Gesù accetta l’invito e “quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (24,30).

È in quel preciso momento, dopo tante parole ed emozioni, che si aprono i loro occhi e le loro labbra pronunciano il primo atto di fede! “Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (24, 32).  Non solo parole, ma parole emozionanti, empaticamente decisive. Non solo parole, ma decisioni. Cadono le ultime resistenze, si aprono loro gli occhi e lo riconoscono: finalmente!!!

Nello spezzare il pane, riconoscono il suo donarsi fino in fondo, fino a finire, come Gesù, sulla croce. E si rialzano di scatto e ritornano a Gerusalemme. “E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Non c’è missione e gioia se non c’è incontro personale con Cristo, e nello stesso tempo un incontro condiviso con i fratelli e le sorelle. Un incontro che cambia la vita. Un ascolto della Parola coinvolgente fino a determinare decisioni impegnative. Non posso non augurarmi che le nostre messe siano così. Che la nostra vita di comunità sia così. Fino a quando non portano questi frutti, Gesù è assente! Nel pane c’è, ma non nel nostro cuore.

Concretamente dovremmo preparare con cura le nostre celebrazioni, prevedendo un gruppo liturgico animato da un accolito, non all’ultimo momento ma in incontri di preparazione. In particolare, preparare l’accoglienza; stabilire i lettori; comporre almeno una preghiera dei fedeli che sia espressione dei partecipanti; prediligere canti che coinvolgano tutta l’assemblea. Dobbiamo sempre pensare che è nell’eucaristia che alimentiamo la nostra fede personale e la vita della comunità. E diventa l’unica esperienza di fede di tanti adulti che spesso non hanno altre occasioni. Anche per coloro che sono alla ricerca di risposte di senso o che entrano casualmente in chiesa… Liturgie significative sono il primo passo per una comunità missionaria.



Pieni di gioia: ardere per accendere


Due movimenti sono da sottolineare. I due di Emmaus partono e tornano insieme a Gerusalemme. Potevano tenere per sé questa bella esperienza, ma sentono la necessità di andarlo a dire alla comunità. La missione inizia a partire dalla condivisione con i fratelli.

Qualche volta sento dire: credo in Dio, ma non nella Chiesa. I due discepoli di Emmaus ci insegnano che la fede nasce nella comunione e spinge alla condivisione.

I due di Emmaus ritornano dalla Chiesa ancora ferma nel cenacolo per annunciare la novità del Cristo risorto. Corrono così velocemente che arrivano prima del Risorto. Che bella corsa di Pasqua!

Corrono insieme e corrono dai fratelli. E sono accolti dalla gioia dei fratelli, ai quali anche era apparso Gesù. Condividono la gioia, e non si lasciano più. Dopo l’Ascensione, ognuno custodirà la fede e troverà il modo di contagiare altri, ma sempre tenendosi in comunione. Senza comunione non c’è missione: quante volte lo abbiamo detto in questi anni! Ma anche senza partecipazione non c’è comunione e missione.

Concretamente: partecipazione è la responsabilità di essere attivi nel costruire la comunità e di testimoniare al mondo la risurrezione di Cristo.

Dalla gioia dell’incontro con Cristo nasce la missione. La gioia di annunciare – testimoniare la nostra fede, diffondendo fiducia nella vita. Poveri, malati, famiglie in difficoltà per lutti o separazioni, ragazzi multiproblematici, giovani che non studiano e non lavorano: ci sono tanti che hanno bisogno di prossimità concreta. Una solidarietà intelligente, sull’esempio di Annalena che faceva bene il bene, ma senza delegare ad altri l’aiuto concreto.



Lo stato d’animo dei discepoli di Gesù a Forlì


Anche noi siamo come i discepoli di Emmaus, siamo afflitti da tanti pensieri tristi. Vediamo con qualche preoccupazione il nostro futuro. Ci sono segnali positivi, ma non sufficienti, che ci consentano di guardare al futuro con serenità. Le folle talvolta ancora le vediamo nelle chiese, ma raramente. Fino a poco tempo fa, tutto ruotava attorno alla figura del parroco. Già oggi due terzi delle parrocchie sono senza parroco residente.  Nel 2028, fra cinque anni, ci saranno in diocesi 32 preti diocesani e 7 diaconi sotto i 75 anni. In seminario non ci sono seminaristi. Tenendo conto che ci vogliono quasi una decina di anni per formare un prete, non sono previsti prossimamente nuovi sacerdoti diocesani. I sacerdoti provenienti da altre diocesi devono tener conto delle esigenze delle diocesi di origine; sono una grande risorsa, da non dare per scontata. Dobbiamo imparare a fare con le nostre forze.

Nella Chiesa ci sono anche altri ministeri: attualmente possiamo contare su una cinquantina di lettori e accoliti; circa cinquecento catechisti; sono un centinaio gli alunni/e che sono usciti con la licenza dall’ISSR; sono circa cinquecento anche coloro che collaborano alle attività delle Caritas, parrocchiali e diocesana, tra animatori, volontari ed operatori. Il laicato è attivo e impegnato, occorre prepararlo ad assumersi ulteriori responsabilità. Ci sono belle realtà laicali nelle parrocchie e nelle associazioni, in particolare molto presenti e attive sono l’Azione cattolica, l’Agesci e Comunione e Liberazione. E molte altre.

Una domanda che ci siamo posti da tempo e anche negli ultimi incontri di “Coriano”: quale sarà la Chiesa del futuro? Certamente dobbiamo muoverci su due livelli. Primo, semplificare la vita dei sacerdoti, affidando ai laici alcune incombenze amministrative. Secondo, incoraggiare e formare i laici che si assumono delle responsabilità nelle singole comunità cristiane: non devono diventare i sostituti o le fotocopie dei preti, ma vivere il sacramento del battesimo nel servizio alla Chiesa locale.

In ogni caso, è necessario accompagnare questo momento della storia della Chiesa forlivese con una preghiera intensa e fiduciosa, per una Chiesa fedele al suo Maestro. Da tempo ho chiesto alle care sorelle di vita consacrata, le claustrali in particolare, di pregare per la nostra Chiesa, perché viva lo spirito dei discepoli di Emmaus.

Quale sarà la Chiesa del futuro?

L’obiettivo di riorganizzare le nostre parrocchie vogliamo concretizzarlo a partire da questo nuovo anno pastorale. Le motivazioni e le modalità sono già state presentate in un documento frutto di assemblee in tutte le unità pastorali della diocesi nel 2019. Presentato quest’anno dopo l’esperienza della pandemia negli organismi di partecipazione. Iniziamo ad attuarlo quest’anno, sia nell’accorpamento di parrocchie sia nella formazione delle équipes ministeriali, anche alla luce degli aggiornamenti richiesti prima dell’estate a tutti i vicariati.



Alcuni obiettivi dell’anno pastorale

In ogni parrocchia delle équipes ministeriali

In ogni parrocchia ci sono ministeri e carismi da valorizzare o da suscitare e tutti da formare, per rispondere al mandato missionario che il Signore ci ha comandato: “Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo a ogni creatura” (Mc.16,15). La salvezza della Chiesa, la Chiesa stessa ha senso se è missionaria. Se annuncia e testimonia il Vangelo di Gesù. Come ci ricordava Assunta Steccanella, “la missione è criterio della riforma, e non si riduce a una riorganizzazione delle strutture”. Faccio miei i suggerimenti di Andrea Toniolo sui tratti generativi della Chiesa: essenziale, attenta alla Parola e ai poveri, relazionale, sinodale e ospitale, ministeriale, di tutti e per tutti.

Concretamente nelle parrocchie: valorizziamo il consiglio pastorale e costituiamo le equipe pastorali.

Pianifichiamo i cambiamenti necessari formando i laici per le equipe ministeriali in ogni comunità cristiana e togliendo ai parroci incombenze che ora appesantiscono il loro ministero pastorale.

In ogni comunità parrocchiale, piccola o grande che sia, ci devono essere accoliti che curano la liturgia e i luoghi della celebrazione, lettori per custodire e accompagnare i gruppi del vangelo, ministri straordinari della comunione che esprimano la sollecitudine della Chiesa per i malati e gli anziani, portando loro soprattutto la comunione. Un animatore della Caritas che svolga il compito di antenna della carità, perché la comunità non dimentichi i poveri. Un catechista che coordini il lavoro dei catechisti che accompagnano i ragazzi nel percorso di iniziazione cristiana, in collaborazione con i genitori.  Catechisti che offrono percorsi di formazione anche agli adulti che desiderano approfondire la loro fede o intendono riprendere un cammino per qualche motivo sospeso nella loro vita. Animatori famigliari che preparino al matrimonio cristiano e accompagnino anche dopo la celebrazione del sacramento del matrimonio. Infine, cristiani e competenti che si assumano il compito di amministratori dei beni delle comunità parrocchiali, costituendo un consiglio per affari economici.

In ogni parrocchia e/o unità pastorale, un consiglio pastorale

In ogni unità pastorale ci deve essere un consiglio pastorale composto da membri preferibilmente eletti o cooptati, che risponda alle esigenze spirituali e pastorali dei fedeli del territorio parrocchiale. Il consiglio pastorale è il luogo dove si esprime la corresponsabilità dei laici che nasce dal battesimo. Su questo non si può più esitare. Ci sono belle esperienze in tante comunità. È il luogo della comunione ecclesiale e della sinodalità di cui tanto si parla. Luogo, come ci ricordava Pierpaolo Triani, nel quale non si tratta di far prevalere le proprie idee su quelle degli altri, ma di discernere insieme quale sia la volontà di Dio per tutti.

Tutti questi ministeri laicali hanno persone e organismi diocesani che offrono loro sostegno e soprattutto formazione. In ogni compito ecclesiale, anche il più tecnico, rimane sempre fondamentale il riferimento al Vangelo, luce e guida di ogni scelta.

Ogni unità pastorale una parrocchia

In attuazione degli orientamenti già espressi e condivisi negli scorsi anni, daremo attuazione a scelte di accorpamento. Ciascuna unità pastorale individuerà delle scelte che presenterà al vescovo per la decisione. Alcune zone pastorali sono già pronte e mature, in altre occorre portare a maturazione gli orientamenti e altre realtà andranno sollecitate a camminare più speditamente.

Nel corso dell’anno prenderemo delle decisioni per semplificare e accorpare delle parrocchie, vigileremo sulla realizzazione e sul funzionamento dei consigli pastorali e delle équipes pastorali. A questo proposito, le équipes pastorali sono una proposta valida anche per le parrocchie più numerose e una presenza più efficace in alcuni quartieri.

Cari fratelli e sorelle, siamo davanti a cambi d’epoca che ci costringono a non vivere di ricordi o di nostalgie. Il Signore ci ha dato le risorse per rispondere oggi con fede, fantasia e speranza alle esigenze pastorali. Ci sono nelle nostre comunità, piccole e grandi, risposte esemplari, che possono diventare punto di riferimento. È possibile preparare un futuro ecclesiale vivo. Mai la Chiesa si è arresa davanti alle difficoltà. Niente è impossibile. L’unica cosa da temere è la paura di rispondere di sì alla Parola del Signore che ci chiama a cambiare, la paura che ci fa negare che Dio agisce anche oggi e continua a spezzare il pane con noi. E ci mette continuamente in cammino.

Nel mese di febbraio il Papa ha dato appuntamento a tutti i vescovi dell’Emilia-Romagna per un incontro di fede, di speranza e di carità. Attendo con gioia questo momento per esprimere la mia e nostra comunione con il Santo Padre, che è comunione con tutta la Chiesa. Attendo anche di raccogliere le sue indicazioni pastorali per il nostro futuro. Sarà una occasione per fare una verifica del nostro cammino, per dare uno sguardo proiettato con speranza verso il futuro, incoraggiati dal successore di Pietro che ci ripeterà: “Da chi andremo, Signore? Tu solo hai parole di vita eterna!” (Gv 6,69)



I discepoli di Emmaus ci insegnano il coraggio di camminare insieme, anzi di correre insieme!

Troveremo il coraggio di camminare insieme se insieme avremo esperimentato la gioia dell’ascolto della sua Parola e la condivisione del pane spezzato. Il coraggio nasce da questa essenziale e domenicale esperienza. Se il nostro cuore arde del suo amore, sapremo accendere l’interesse di chi ci vede e ascolta.

Anche il buio non ci spaventa, come non ha spaventato i due discepoli di Emmaus, non spaventerà neanche noi. Se ci lasceremo accompagnare dal Signore, se lo ascolteremo insieme, niente e nessuno ci potrà fermare. Diceva san Paolo: “Se il Signore è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rom 6,31)