Con la solenne concelebrazione che il card. Mauro Gambetti, vicario generale di Papa Francesco per la Città del Vaticano, ha presieduto in Cattedrale il 25 settembre, si sono concluse le celebrazioni per gli 800 anni di presenza di Sant’Antonio a Montepaolo e della sua prima omelia a Forlì.
All’inizio della messa il vescovo, mons. Livio Corazza ha ringraziato i concelebranti, mons. Lino Pizzi, che proprio quel giorno compiva 80 anni e mons. Giorgio Biguzzi, i padri francescani e domenicani, le autorità e il gruppo di pellegrini che dal 30 giugno stanno attraversando l’Italia con la reliquia di sant’Antonio e hanno fatto tappa anche a Forlì.
“L’esempio di Sant’Antonio ci spinge oggi a comunicare meglio e di più la fede guardando anche agli altri testimoni che ricorderemo nei prossimi giorni, Annalena Tonelli e don Pippo uomo di fede e grande comunicatore”.
L’omelia del card. Gambetti
Antonio di Padova, o anche Antonio da Forlì come è menzionato nella cattedrale di Lisbona in una lapide che lo storico Zelli cita in un'intervista, comincia qui - 800 anni fa - la sua missione di predicatore itinerante. La sua sapienza e la sua oratoria sono passate alla storia, ma è interessante sapere che le sue opere - in particolare gli imponenti Sermones - non godettero di una gran fortuna dopo la sua morte. Eppure, quando fu canonizzato, Gregorio IX intonò l'antifona dei dottori della Chiesa anziché quella dei confessori, come ci si sarebbe potuti attendere vista la testimonianza offerta da Antonio attraverso il suo ministero. La straordinaria sapienza di Antonio gli meriterà il titolo di Dottore della Chiesa, ma solo nel 1946 per volontà di Pio XII. Di fatto, il popolo riconobbe in lui l'amico di Dio, l'intercessore benigno verso la sofferenza dei malati e il grido dei poveri più che il dottore della fede, il dottore evangelico. Ma, in realtà, non vi è vera amicizia con Dio e con i fratelli se non c'è conoscenza del Vangelo. Antonio cominciò a predicare perché aveva ascoltato e meditato la Parola di Dio, e divenne autentico amico degli uomini praticando quella Parola. Il Vangelo di oggi si chiude proprio con un forte richiamo in questo senso: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti". Questa conclusione suggerisce la chiave di interpretazione della parabola, che non vuole mettere paura, ma far comprendere come si può entrare nella vita piena, nella gioia senza fine. È un appello alla coscienza di ciascuno: non preoccuparti di vedere un miracolo, magari di vedere Antonio o Gesù stesso predicare, ma ascolta! Nella parabola, il ricco è un uomo senza nome, non cattivo, semplicemente insignificante. Il suo atteggiamento è proprio come quello degli spensierati di Sion e di quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria - apostrofati da Amos nella prima lettura che è stata proclamata. Il profeta, vissuto nell'VIII secolo a.C. in un periodo in cui cresceva la prosperità di Israele, richiamava alla responsabilità quella classe nobile che viveva sperperando allegramente i beni senza curarsi degli altri, del popolo, perché immersa in una magica bolla, in una illusione. Non ascoltarono e furono spazzati via dalla potenza assira che conquistò Israele e ridusse tutti in schiavitù.
La parabola ci svela il segreto della vita, il pensiero di Dio sulla vita. Negli inferi il ricco alzò gli occhi e vide. Li comincia a comprendere che ha bisogno di Lazzaro, di quel povero che sedeva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla tavola del ricco.. .mondo capitalista. L'uomo è sempre lo stesso. Che tristezza! Quanti uomini e donne oggi vivono nell'illusione provocata dalle ricchezze: o perché sono ricchi che pensano di essere al sicuro e poter vivere senza problemi, secondo il proprio piacimento; o perché, pur non essendo ricchi, vivono la stessa dinamica consumistica di beni materiali, di emozioni, di affetti... magari pagandoli a rate. Il ricco alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro... Non aveva mai alzato gli occhi durante la sua vita e perciò non aveva mai visto nulla in verità. Non aveva mai udito la voce che lo invitava alla compassione. "I sordi - direbbe Antonio - sono gli avarie gli usurai, i cui orecchi sono otturati dal sudiciume del denaro... egli (l'avaro), per non prendere con avidità la parola di vita, o per non raccogliere il suono, la voce del predicatore, si tura gli orecchi del cuore" (Dom. II di Avvento, n. 10, p. 905). Vide Lazzaro, il cui nome significa 'Dio aiuta': manda Lazzaro ad intingere nell'acqua la punta del dito. . . Si potrebbe parafrasare così il senso: il povero ha bisogno del ricco in vita, il ricco ha bisogno del povero in morte. Guai a non accorgersi di questo bisogno! I ricchi, infatti, muoiono prima di morire: timori inconfessati e talora assurdi si affacciano alla loro mente, cresce l'affanno, le relazioni piano piano si sfaldano, l'esistenza progressivamente si svuota di senso. Se poni la tua fiducia nelle ricchezze invece che in Dio si chiude davanti a te la porta che conduce alla Vita e alla felicità. Se l'uomo non si pone in ascolto, se non si accorge di suo fratello, se non alza gli occhi non potrà mai riconoscere la verità della vita. La vita si gioca nell'amore e la cifra dell'amore è la dignità di tutti, custodita e favorita con ogni mezzo. San Paolo scrive a Timoteo in modo accorato: "ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo". Cioè, non cada mai dalla tua mente il comandamento dell'amore a Dio e al prossimo, perché questo è il tesoro del nostro cuore da custodire al di sopra di tutto e senza alcun annacquamento. Allora davvero l'uomo sarà onorato e Dio sarà visto presente nel mondo.
Cosa bisogna fare? Due suggerimenti.
Il primo. Al ricco non viene chiesto di disfarsi della sua 'disonesta ricchezza' - come la chiamava Gesù domenica scorsa -, ma di usarla per provvedere al povero, sollevarlo. In che modo? Ce lo ha ricordato ieri Papa Francesco nell'incontro di Assisi, Economy of Francesco: "Quando io parlo con la gente o confesso, io domando sempre: «Lei dà l'elemosina ai poveri?» - sì, sì!» - «E quando lei dà l'elemosina al povero, Io guarda negli occhi?» - «Eh, non so ...» - «E quando tu dai l'elemosina, tu butti la moneta o tocchi la mano del povero?». Non guardano gli occhi e non toccano; e questo è un allontanarsi dallo spirito di povertà, allontanarsi dalla vera realtà dei poveri, allontanarsi dall'umanità che deve avere ogni rapporto umano."
Il secondo: l'ascolto, occorre l'ascolto.
Se manca questo atteggiamento, non c'è dio che tenga, non c'è risurrezione che convinca, non c'è situazione drammatica che tocchi il cuore. L'ascolto è l'atteggiamento di chi si fa attento alla realtà, agli altri, alla loro storia, alla loro parola, al loro animo... alla Parola di Dio, alla voce dell'Amico.
Chi sa ascoltare è povero di spirito, come Antonio, che scrive: "O Parola... che inebria il cuore, Parola dolce che conforta nella prova. Parola di beata speranza, o Parola, fresca acqua per l'anima assetata, gradito messaggero che porta liete notizie della terra lontana. Qui c'è il mormorio di una brezza leggera, l'ispirazione di Dio Onnipotente! ...Ti scongiuro, o Signore, scenda sul tuo servo la tua Parola" (Dom. IV di Avvento, n. 3, p. 925).
Preghiamo così ogni volta che ascoltiamo il Vangelo e vedremo la nostra vita trasformarsi. Sant'Antonio, prega per noi!