Festa di S. Mercuriale 2022

24/10/2022

MESSAGGIO DEL VESCOVO ALLA CITTA'


Carissimi forlivesi,

si sta concludendo un anno di caldo e siccità. Dopo un anno in cui mancava il respiro a tanti malati di covid-19, quest’anno è mancata l’acqua per le nostre terre e le nostre colture. Abbiamo fatto l’esperienza drammatica dei cambiamenti climatici che si verificano con sempre maggiore frequenza. La lungimiranza delle generazioni precedenti ci ha consentito di superare con meno fatica la prova. Ma un cambiamento di stile di vita di tutti noi, e da parte di chi ha delle responsabilità, è doveroso. Avere una visione a lunga distanza diventa sempre di più una qualità necessaria per noi e per le future generazioni.

Speranza e nuove difficoltà
Se non c’erano le nubi in cielo, non sono mancate nubi minacciose che hanno segnato disumanamente il nostro orizzonte.
L’anno scorso, in questo tempo, sognavamo di vedere con maggiore serenità il futuro. Anzi, eravamo sorridenti e speranzosi. Gli indici economici, che certo non sono tutto, erano molto positivi. Si era appena conclusa la Settimana Sociale della Chiesa italiana a Taranto, con la presenza di tanti giovani e di belle e concrete proposte per il futuro, che ci indicavano la strada per impiantare nuove comunità energetiche.
Due anni fa, la pandemia ci aveva lasciato una scia di morti e di grandi difficoltà. Anche degli strascichi polemici, che avvelenavano la convivenza sociale. Quanti contrasti fra i pro e i no vax, con conseguenti divisioni anche nelle famiglie e fra gli amici. E nella stessa Chiesa. Su questo non siamo ancora sereni nel leggere obiettivamente quanto è avvenuto. Non c’è stato, ancora, un cammino di riconciliazione. E le divisioni sono rimaste aperte.

Il dramma della guerra
Ma il 24 febbraio di quest’anno, fra l’incredulità generale, quella che sembrava solo una minaccia si è drammaticamente concretizzata. Con l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, la guerra è ripresa in Europa.
Le conseguenze sono state tragiche, con il carico di morti e di feriti, di profughi, con sofferenze fisiche e morali. Le nostre comunità hanno immediatamente reagito con manifestazioni, incontri di preghiera ecumenici: ci siamo stretti alle nostre comunità ucraine, aprendoci alla solidarietà e all’accoglienza, con prontezza e generosità.
Dopo qualche settimana hanno incominciato ad arrivare i profughi e sono stati accolti. Anche le nostre sorelle del Corpus Domini hanno messo a disposizione il loro convento; da Forlì sono partiti degli aiuti che sono arrivati a destinazione e stanno continuando. La preghiera per la pace non si è mai fermata. La risposta di solidarietà delle popolazioni della Romagna è stata pronta e generosa.
Il dramma, invece di terminare, continua e come una tempesta che non finisce mai, peggiorano sempre di più le prospettive sociali ed economiche.
Le guerre prima o poi terminano, le ferite saranno curate, ma l’odio che le ha provocate rimarrà per intere generazioni. E con l’odio seguiranno altri lutti e altre distruzioni. No, non è un momento facile, questo. E anche noi siamo stati toccati dall’onda d’urto della guerra.

Non lasciamo soli i nuovi poveri
Le conseguenze incominciano a farsi sentire, tutto il nostro stile di vita viene messo in discussione e, come sempre succede, chi è povero diventa sempre più povero e alcuni ricchi, sempre più ricchi. Con le povertà aumentano le disuguaglianze e il rischio di nuovi conflitti sociali. E molti perdono la propria condizione di benessere e diventano a loro volta poveri. L’annuale rapporto di Caritas italiana ha segnalato un drammatico aumento della povertà in Italia (l’11 novembre presenteremo anche il rapporto della Caritas diocesana di Forlì-Bertinoro in concomitanza con la VI Giornata dei Poveri).
Mentre a tutti viene chiesto di modificare i propri consumi energetici per garantire i servizi essenziali, la comunità ecclesiale si interroga su cosa possiamo fare per non lasciare nessuno da solo di fronte alle prevedibili difficoltà economiche nel prossimo inverno che si avvicina.
Don Pippo, di cui ricorderemo il 9 novembre i 70 anni della morte, diceva in un editoriale sul settimanale Il Momento del 26 giugno del 1948: “Crescono i poveri e diminuiscono i risparmi. Chi, avendo il necessario, sapesse risparmiare, creerebbe piano piano le sue ricchezze, potrebbe essere generoso verso gli altri e si toglierebbe dal troppo abbondante stuolo di chi si lamenta sempre e vuole di più. È tutta una mentalità nuova che occorre. Nuova? No: quell’antica del primo cristianesimo: “Chi ha molto non sovrabbondi: chi ha poco non abbia scarsezze”.
Anche in questo caso, si può ricordare il famoso appello di papa Francesco: siamo tutti nella stessa barca. Non dimentichiamolo.
È vero, occorre vigilare. Ci sono talvolta alcuni destinatari di aiuti che se ne approfittano. Sia occupando case senza pagare affitti, sia percependo sostegni senza meritarselo, o sottraendosi ai giusti tributi. Ma le colpe degli altri non giustificano dall’essere onesti e generosi. Il male si vince con il bene.
Ci auguriamo che i poveri, anche della nostra città, non siano dimenticati; che gli anziani non siano trascurati o lasciati soli. Troppi ammalati in questi anni, causa covid-19, sono stati lasciati morire lontani dai loro affetti più cari. Ci auguriamo non capiti ancora.

Non lasciamo sole le famiglie
Parlando di case e di alloggi, ricordiamo quanto sono importanti i sostegni alle famiglie, in particolare attraverso i servizi di cura e custodia dei figli e, più in generale una rinnovata politica della casa che preveda aiuti al mercato dell’affitto e della vendita immobiliare. In queste settimane, anche con le tante richieste di alloggio da parte degli universitari, si mette in evidenza la necessità di alloggi sia per gli studenti che per le famiglie.
Le scuole dell’Infanzia, anche degli Istituti paritari, siano sostenute per il bene delle famiglie. Nel tempo del covid-19 molti bambini hanno dovuto rinunciare per la perdita del lavoro dei loro genitori, con grave danno per loro stessi e per le scuole che avevano previsto la loro frequenza per tutto l’anno.
Già prima delle tante crisi di questi anni, le famiglie italiane non sono state sostenute nella loro volontà e desiderio di mettere al mondo nuove creature.
L’inverno demografico ha dimensioni gravissime. Non dimentichiamo che senza i figli non c’è futuro per qualsiasi tipo di società si voglia costruire. Anche per i figli stessi.
Sostenere le famiglie richiede politiche che puntino a restituire loro, dignità e bellezza facendole sentire risorsa della società, tutelandole e difendendole in tutte le loro componenti, dal concepimento alla morte naturale. Per questo appare necessario ed improcrastinabile pensare ad orari di lavoro che consentano di avere una vita familiare serena (part-time per padri e madri), lavorare per riorganizzare un piano urbanistico (nel 2023 si definirà il nuovo Piano Urbanistico) che riduca gli spostamenti dei diversi componenti familiari, che faciliti le relazioni nei quartieri (pensiamo alla solitudine degli anziani) e predisporre aree verdi adeguate ai bambini con attrezzature che facilitino l’incontro fra famiglie e sostegni alle sempre più necessarie comunità energetiche.

Non lasciamo soli i giovani
Nello stesso tempo, dobbiamo proteggere i più giovani. Nel tempo della pandemia abbiamo chiesto loro un grande sacrificio: interrompere le relazioni amicali per alcuni mesi. È stata un’esperienza dura che ci ha insegnato tante cose, soprattutto a far di tutto per assicurare loro non solo le condizioni materiali ma, principalmente, la possibilità di studiare e di conservare le esperienze di vita sociale, necessarie quanto il cibo e il caldo per vivere. In queste settimane, più volte, sono stato informato di episodi di baby gang anche nel forlivese…
A proposito dei giovani, non dimentico le parole di don Pippo che ho trovate scritte sempre su Il Momento, quando in un editoriale intervenne a proposito di educazione. “Io mi domando – scriveva nel 1946 (a guerra appena finita) – come mai e parlo specialmente di giovani, sono così presi da senso di scontentezza e di sfiducia? Parmi poter dir che per molti una ragione è questa: hanno una piccola visione della vita. Si creano un mondo piccino piccino, fatto solo di sé, i loro affari, il loro avvenire, i loro piaceri, i loro passatempi, la loro salute. Così il cerchio della propria visuale si chiude in un orizzonte egoistico, meschino e non soddisfatto mai. Date un orizzonte grande alla vita e tutto trova ragione”.
Date un orizzonte grande alla vita. Trovo queste parole di una potente attualità. È questo di cui hanno bisogno i giovani anche oggi. Don Pippo si riferiva ad una generazione che non aveva materialmente quasi niente. Oggi, che i nostri ragazzi hanno molto, concentrati sulle cose e sui loro smartphone (ma gli adulti non sono da meno), corrono il rischio di non poter avere una visione, un ideale di vita.
Hanno bisogno di esperienze forti di solidarietà e di umanità, di ampliare il ponte fra il mondo della formazione scolastica e professionale e il mondo del lavoro.
Per esempio, sono dell’idea che vada incentivato e sostenuto il servizio civile, anche all’estero, almeno per alcuni mesi. Un’esperienza di contatto diretto con le povertà, con i bisogni degli altri, con la natura e le opere sociali è fortemente educativo e offre la possibilità di alzare lo sguardo verso un futuro più umano, pieno di relazioni e di fraternità. Sono dell’idea che l’educazione dei nostri ragazzi sia una vera emergenza che non si risolve con contribuiti economici, ma con esperienze di vita vissuta a servizio degli altri. In primis con l’esempio degli adulti. Non dimentichiamo, infine, che Forlì è una città universitaria con migliaia di studenti, da accogliere e valorizzare.

Il Sinodo: una risorsa
In sintesi, in questa situazione di crescente povertà ed individualismo, dovremo riscoprire, rafforzare e sostenere le energie della società civile, il volontariato, il terzo settore, l'associazionismo a fianco della famiglia e di una politica avveduta e attenta ai più fragili per una società che include e non esclude e vede tutti protagonisti nella costruzione del bene comune.
Chiudo ricordando l’esperienza che le nostre comunità cristiane stanno sperimentando con l’esperienza dei gruppi sinodali, luoghi di incontro e di ascolto, in piccoli gruppi, sulle sfide sociali ed ecclesiali che stiamo vivendo. Porremo a tutti due domande: il Vangelo parla ancora al mondo d’oggi? Quali aspetti della comunità cristiana sono apprezzati di più e quali invece, creano ostacoli? Oggi, sono convinto che ascoltare ed ascoltarsi, anche tra mondi diversi, possa favorire la convivenza sociale.
Anche la Chiesa cattolica che è in Forlì-Bertinoro cercherà di fare la propria parte.

Forlì, 26 ottobre 2022
    
+ Livio Corazza
Vescovo di Forlì-Bertinoro





OMELIA DEL VESCOVO NELLA MESSA
PER LA SOLENNITA' DI SAN MERCURIALE

26 ottobre 2022



Nella festa di san Mercuriale, la liturgia ci propone di leggere la prima lettera di san Pietro.

Pietro si trova a Roma, dove era arrivato nel 58, e scrive ai cristiani della dispersione nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia, comunità dell’Oriente da lui particolarmente conosciute.

A Roma si trova anche san Paolo, proveniente da Antiochia, nella condizione di prigioniero agli arresti domiciliari in attesa di giudizio. Vi si trovano, forse, anche san Luca, san Marco, san Barnaba, Silvano ecc.
San Pietro, proprio come san Paolo, subirà il martirio. La situazione che si viveva allora era drammatica: i pochi cristiani presenti a Roma, per la gran parte provenienti dal paganesimo, venivano perseguitati e talvolta uccisi.
E san Pietro, da buon padre – pastore, pensa ai suoi fedeli che sono lontani e li rassicura. Li rassicura sulla fede.

Cosa scrive ai suoi, san Pietro, per incoraggiarli?
San Pietro dice che i cristiani saranno anche una piccola minoranza, che possono anche non contare niente politicamente o economicamente, però possono sempre contare sull’amore di Dio che dall’eternità opera in loro per una grande missione. E questa, anche oggi per noi, è la nostra vera forza!

Onore a voi che credete! Voi siete il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce.
San Pietro rassicura i lettori sulla centralità di Cristo: stringetevi al Signore, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio. Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale.

Al centro di tutta la vita cristiana ci deve sempre essere unicamente Cristo, quale punto di riferimento costante e chiave di volta di interpretazione per leggere la vita alla luce della volontà di Dio.
Il motivo per cui l'autore scrive è quello di infondere speranza: una speranza non fondata su ragionamenti umani o frutto di ricchezze umane, ma sulla grazia di Dio.

Lo ricordavamo anche in questi giorni, a conclusione delle serate di formazione e programmazione che si sono svolte a Coriano: non dobbiamo spaventarci di fronte alle difficoltà, non dobbiamo lasciarci rubare la speranza.
Nel cambio d’epoca che stiamo vivendo, non siamo soli e non siamo gli unici. Spesso la chiesa ha vissuto le crisi del cambiamento e, con l’aiuto del Signore, ha saputo prendere e testimoniare la via del Vangelo.
Quello che conta è che la nostra fede in Cristo risorto sia viva e le nostre comunità siano significative.

Anche al tempo di Pietro, nella Roma degli Imperatori, i primi cristiani vivevano circondati da tanta incredulità.
Ma all’incredulità e talvolta alla persecuzione, rispondevano con l’amore verso Dio e verso il prossimo.
È la condizione comune, chi crede si sente sempre un po' fuori tempo, isolato, «disperso» (cfr. 1 Pt 1, 1) in mezzo a persone non credenti.
Questa è la condizione del cristiano di oggi e di sempre.

Siamo dispersi in mezzo a chi non crede per testimoniare, con la nostra vita, la necessità di Cristo. Perché la salvezza viene da Cristo! E la salvezza viene per noi e anche per quelli che non credono.

Siamo dispersi, ma non inutili. La nostra forza è la forza della fede e dell’amore di Dio.

Anche i tempi di san Mercuriale non erano facili. La comunità era messa alla prova. Doveva lottare contro pericoli ed avversità, rappresentate dal drago sconfitto da san Mercuriale e da san Ruffillo insieme.
La comunità era composta da persone provenienti da tante parti del mondo. San Mercuriale era un armeno.
E se il vescovo proveniva dall’Armenia, tanti cristiani di allora, provenivano, credo, da tante parti del mondo. La Romagna è una terra di passaggio. Le minacce delle contrapposizioni e delle tensioni interne, oltre che esterne, provenivano da tante parti.
Ogni buon pastore cerca di tenere unito il suo gregge, si impegna a farlo camminare restando insieme, desidera mantenere la pace e si impegna a difenderlo dalle minacce esterne.
La chiesa cattolica è da sempre un crogiuolo di persone, non è e non può essere etnica, composta cioè da una sola etnia.
È aperta per natura, perché così l’ha voluta il suo fondatore. È questa la sua forza ed è questa anche la sua sfida. Non ha una bandiera nazionale, ha una sola insegna: la croce di Cristo.
Fin dall’inizio, fin dal primo annuncio, uscendo dal cenacolo, ha incrociato popoli diversi ed ognuno di essi sentiva parlare nella propria lingua.
Non serve imparare una lingua per far parte della chiesa. Ma è il messaggio di Cristo che prende forma nella cultura e nella lingua delle persone che ascoltano e seguono il Vangelo.
Ed è la nostra identità e missione.
La nostra missione è nella capacità di formare comunione nella diversità e nelle difficoltà.
San Mercuriale, primo pastore, insegni a me, suo successore, a proseguire nella missione ricevuta da Cristo.

Concludo confermando la preghiera iniziale:
O Dio, che hai chiamato i nostri padri alla mirabile luce del vangelo per merito della predicazione del vescovo san Mercuriale, donaci di vivere in modo autentico e coerente la nostra vocazione cristiana.
Amen.